Senza i 532 mila voti del candidato Roberto Vannacci, la Lega, che ne ha raccolti 2,1 milioni pari al 9% dei consensi, avrebbe potuto scendere al 6,7 per cento. E con tutta probabilità oggi Matteo Salvini avrebbe dovuto lasciare la guida del partito. Invece in conferenza post voto dalla sede di via Bellerio a Milano ha rilanciato la sua segreteria e difeso le sue scelte: “Quando ho candidato Vannacci dicevano che ero un fesso e che la base si sarebbe rivoltata. Ma questo mezzo milione di voti, che arrivano in buona parte da Lombardia e Veneto, arrivano dall’elettorato della Lega e non solo – ha aggiunto -. Io gli ho dato la mia preferenza, ha una visione del mondo in buona parte vicina alla mia”.

L’obiettivo era quello di salvare se stesso, e per ora Salvini ci riesce. Ma a che prezzo? Lasciando da parte la questione dell’armamentario elettorale esibito da Vannacci per intercettare le peggiori nostalgie fasciste, in termini assoluti rispetto alle ultime politiche, dove aveva incassato l’8,8%, alle europee la Lega perde voti. Rispetto al 2022 sono infatti 380 mila in meno le persone che si sono recate alle urne per scegliere il partito di Salvini. Attribuendo a Vannacci e a lui soltanto almeno una parte delle sue preferenze, per l’ex partito del Nord queste europee sono un mezzo disastro. Visto che prima del voto fino al 31% degli elettori di Fratelli d’Italia dichiarava di prendere in considerazione il generale, è probabile che una parte lo abbia fatto e che senza Vannacci quei voti sarebbero rimasti a Meloni. Effetto di quello che nella Lega qualcuno già chiama “eccessiva rincorsa dell’estrema destra“, invitando alla riflessione.

Sempre che non sia già troppo tardi. Perché il risultato delle grandi circoscrizioni del Nord non lasciano dubbi, e giustificano le prese di distanza dei maggiorenti del partito, dai governatori Fedriga e Zaia fino a Giancarlo Giorgetti col loro “non è un candidato della Lega”. Nella circoscrizione Nord Occidentale Vannacci prende 186 mila preferenze. Al secondo posto, quello di Silvia Sardone che è seconda degli eletti leghisti, si scende a 75mila. Peggio in quella Nord Orientale, dove ha ottenuto 142 mila preferenze, quante ne hanno raccolto tutti i nove candidati che lo seguivano in lista. Ma anche nel resto d’Italia va così. In Italia centrale, con la Lega già al 6,7%, a prendere quasi un terzo dei voti da solo è Vannacci. Minore l’incidenza in Italia meridionale, nonostante la ribadita vocazione “nazionale” di Salvini, col generale che trascina di meno, a 72 mila voti mentre il secondo in lista è a 69 mila. E nelle Isole, dove il nostro deve addirittura lasciare il primo posto a Raffaele Stancanelli, con 44 mila preferenze contro le 35 mila del militare.

Il risultato è così netto che Salvini non potrà che continuare a cavalcare la tigre, che però mina il partito nelle fondamenta, soprattutto al Nord. Il segnale più chiaro, che probabilmente varrà punito, è stato quello dell’ex leader, Umberto Bossi, che in una telefonata all’ex deputato ed ex segretario della Lega lombarda Paolo Grimoldi aveva fatto sapere l’intenzione di votare per l’ex leghista per Marco Reguzzoni, candidato con Forza Italia. “Se togliamo ai voti della Lega di Salvini i consensi che ha preso l’Udc, i cui candidati corrono nella lista, e se si tolgono le preferenze di estrema destra di Vannacci, si capisce chiaramente il collasso elettorale” del Carroccio “e l’urgenza di cambiare il nome alla Lega togliendo la dicitura ‘Salvini premier‘”, ha detto Grimoldi all’Ansa. “Se la Lega non fa più la Lega e non fa il sindacato del territorio, allora si vota per qualcun altro…”.

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