Ambiente & Veleni

Antenne selvagge sui tetti dei condomini: ecco cosa fare per difendersi dalle emissioni

Il 30 dicembre scorso il Parlamento ha votato, nell’indifferenza generale, per l’innalzamento delle emissioni

Lo scorso 30 dicembre il nostro Parlamento ha votato, nell’indifferenza generale, per l’innalzamento delle emissioni delle antenne da 6 a 15 Volt/m (come media nelle 24 ore). Secondo il governo, si è trattato di un adeguamento fatto nell’interesse pubblico. Una delle conseguenze, però, è stata la proliferazione delle antenne, nelle nostre città, nei parchi urbani, in mare e in montagna.

Ma, come denuncia l’Associazione Italiana Elettrosensibili, l’obbrobrio paesaggistico è l’ultimo dei problemi. “Purtroppo, a differenza dei cellulari, le antenne non possono essere spente, ‘sparano’ giorno e notte e i Comuni non hanno più strumenti giuridici per mettere loro un freno e tutelare i cittadini”, spiega Francesco Filippi. Che fornisce alcuni numeri su cui riflettere: “In densità di potenza l’ambiente sano è fino a 3 mW/m2 (microWatt per metro quadro). Le alterazioni biologiche cominciano a 34 (www.bioinitiative.org). Un condominio di fronte a un’antenna può ricevere dai 2.000 ai 100.000 mW/m2. Con la nuova legge potremo arrivare a sei volte tanto”.

L’associazione ricorda come esistano “10.000 studi indipendenti, da decenni, che dimostrano che i campi elettromagnetici artificiali sono responsabili di tumori, malattia neurodegnerative, danni al DNA, al sistema immunitario, cardiovascolare, ormonale e nervoso, causano sterilità, aborti, deficit di apprendimento e memoria e la complessa reazione avversa multiorgano che chiamiamo elettrosensibilità. Se anche ci fosse un’incertezza, il governo dovrebbe applicare il Principio di Precauzione adottato dalla Comunità Europea”.

Un altro grosso equivoco, secondo chi si occupa di elettrosensibilità, è il discorso della media: “Le leggi calcolano la media delle 24 ore che da dal punto di vista biologico ci interessa relativamente perché sono i picchi quelli che ci interessano dal punto di vista biologico, non la media”, afferma Filippi.

Dire no a chi ci chiede di installare antenne sul condominio

Ma è vero che stare sotto l’antenna non è meno pericoloso che starci di fronte visto che l’antenna “spara” orizzontalmente (effetto ombrello)? “Stare alla base di un’antenna di venti metri è meno tossico che risiedere di fronte a duecento metri (2.000 mW/m invece che 70.000), ma sempre tossico è”, afferma l’esperto. “Inoltre nessuna antenna condominiale si innalza venti metri a partire dal tetto. Infatti è stato dimostrato che più ci si avvicina all’attico su cui è installata l’antenna, più il rischio di ammalarsi può aumentare”.

Dunque, suggerisce l’associazione, sarebbe meglio evitare di accettare la proposta di installare un’antenna su un terreno o un edificio di nostra proprietà, perché il rischio è anche per chi abita di fronte a noi, anche se non esistono responsabilità penali.

Appellarsi al principio di precauzione

E se invece, appunto, ci ritroviamo noi a vivere accanto a un’antenna? Cosa fare per proteggerci? “I Comuni purtroppo hanno le mani legate”, continua Filippi, “possono solo prendere importanti posizioni per la riduzione dell’elettrosmog, ma sono gesti simbolici, culturali, non operativi. L’attuale governo favorisce le compagnie telefoniche, anche perché ha incassato più di sei miliardi di euro dall’asta per le frequenze del 5G e qualcosa deve restituire”. Intanto, misurare con i propri apparecchi anche l’intensità delle onde è anche un modo rendersi conto del pericolo e decidere di tutelarsi.

Più in alto delle leggi e della normativa europea, ci sono solo i diritti umani: è dunque necessario chiedere tutela invocando il rispetto di diritti fondamentali della persona. “La strada è impervia, sia per i costi legali, sia per la legislazione ostile, però gli appigli ci sono. Ci si può appellare al principio di precauzione, che è quanto mai rilevante, dato che viviamo esposti non a una singola frequenza (come negli esperimenti in laboratorio), ma a un’ampia tipologia, per giunta in un ambiente inquinato da un’infinità di agenti chimici”.

E dal momento che non ci sono prove sull’innocuità delle radiofrequenze – e di tale assenza di prove la popolazione non viene informata – di fatto “si sta effettuando un esperimento sulla popolazione senza il suo consenso informato”.

Dal Tar alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

La via legale potrebbe essere dunque questa: “A seguito dell’installazione di un’antenna 5G”, spiega Filippi, “un qualunque privato residente nei pressi dell’antenna (o un comitato di cittadini pure residenti nei pressi, costituito appositamente per contrastare l’installazione) presenta un ricorso al Tar competente per territorio chiedendo l’annullamento del provvedimento che ha autorizzato il posizionamento dell’antenna. E in via presupposta (con lo stesso ricorso) chiede che il giudice sospenda il giudizio per consentire il deferimento alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale delle norme sul cui presupposto è stata rilasciata l’autorizzazione impugnata”. Per sottoporre la questione alla Corte Costituzionale occorre che il giudice adito (quindi il Tar) ritenga la questione non manifestamente infondata e rilevante ai fini della decisione del ricorso.

I tempi per la pronuncia del Tar e dell’eventuale successiva decisione della Corte Costituzionale non dovrebbero essere particolarmente lunghi, ma difficilmente potrebbero concludersi entro i due anni.

In ogni caso, “qualora il Tar respinga il ricorso, non ritenendo sussistenti i presupposti per il deferimento della questione di costituzionalità alla Corte costituzionale, o quest’ultima ritenga infondata la questione (esiti entrambi non così improbabili, dato il clima politico), resterebbe ancora la possibilità di chiedere tutela alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”, conclude Filippi.