Hunter Biden, figlio secondogenito del presidente degli Stati Uniti, è stato dichiarato colpevole di tutti e tre i capi d’accusa nel processo a suo carico per violazione della legge federale sulle armi. Le incriminazioni, risalenti allo scorso settembre, riguardano il possesso illegale di un revolver Colt, acquistato nel 2018 senza dichiarare la sua condizione di tossicodipendente nell’apposito questionario. Il verdetto è stato annunciato dalla giuria del tribunale di Wilmington, nel Delaware, dopo una discussione durata in totale tre ore: è la prima volta che il figlio di un presidente in carica viene giudicato colpevole di un reato. Il 54enne “First son” ora rischia fino a 25 anni di carcere e 750mila dollari di multa: per due dei capi di imputazione, infatti la pena massima è di dieci anni, mentre per un terzo è di cinque anni. Per ognuna delle accuse, inoltre, è prevista una multa fino a 250mila dollari. L’entità della condanna sarà decisa in una data successiva, non ancora stabilita, dalla giudice Maryellen Noreika: è tuttavia probabile che la pena sarà assai inferiore al massimo previsto e non prevederà il carcere, essendo Biden junior incensurato e avendo ammesso la sua dipendenza da droghe. In attesa della sentenza, che arriverà entro 120 giorni, l’imputato non sarà incarcerato.

Dopo l’annuncio del raggiungimento del verdetto, in tribunale era arrivata anche la First lady Jill Biden, ma la proclamazione è arrivata dopo pochissimi minuti, non permettendole di assistere. Hunter ha lasciato il palazzo di giustizia tenendo per mano lei e la moglie, Melissa Cohen. In un secondo momento ha diffuso un comunicato stampa: “Sono più grato per l’amore e il supporto che ho ricevuto da Melissa, dalla mia famiglia e dai miei amici rispetto a quanto sia contrariato per l’esito del processo. L’uscita dalla dipendenza è possibile con l’aiuto di Dio, e sono fortunato a poter vivere questo dono giorno per giorno”.

Il processo è arrivato a conclusione dopo circa una settimana di udienze, nell’ambito delle quali Biden junior ha scelto di non deporre. Nei giorni scorsi ha testimoniato l’ex fidanzata, Zoe Kestan, affermando che nel periodo della loro frequentazione il figlio del presidente “fumava crack ogni venti minuti”. Quando faceva uso di droghe “non era se stesso”, ha confermato anche l’ex moglie Kathleen Buhle, aggiungendo che Hunter si era rifiutato di intraprendere un percorso di recupero. Nell’arringa finale, i rappresentanti dell’accusa hanno sintetizzato: “Biden faceva uso di droghe, era dipendente dal crack e possedeva una pistola. Questo è contro la legge”. L’avvocata di Hunter, Abbe Lowell, ha invece sostenuto la tesi della mancanza della prova “oltre ogni ragionevole dubbio” che il figlio del presidente avesse mentito in modo consapevole al momento di compilare i moduli. “Siamo ovviamente contrariati dal verdetto, ma rispettiamo la giuria e continueremo a sostenere tutti gli argomenti in favore di Hunter, come abbiamo fatto nel corso di questo processo”, ha detto la legale. La giuria che ha emesso il verdetto di condanna era composta da sei uomini e sei donne, la maggior parte di colore: tra loro un insegnante, un ex dipendente dei servizi segreti e vari possessori di armi.

Da parte sua, Joe Biden ha quasi sempre evitato di commentare in pubblico il processo, per non dare l’impressione di voler interferire nella vicenda giudiziaria. Di recente, il capo della Casa Bianca ha affermato che avrebbe accettato il verdetto e non avrebbe esercitato il proprio potere di grazia in favore del figlio. Una posizione che ora ribadisce: “Come ho detto la scorsa settimana, accetterò l’esito di questo processo e continuerò a rispettare l’iter giudiziario mentre Hunter considera il ricorso. Io e Jill saremo sempre al fianco di Hunter e il resto della famiglia con il nostro amore e sostegno. Niente cambierà questo”. Dopo un fallito tentativo di patteggiamento, peraltro, su Biden junior pende dal dicembre 2023 anche un’altra incriminazione per reati fiscali in California: secondo l’accusa ha eluso almeno 1,4 milioni di dollari in tasse federali tra il 2016 e il 2019 (lo stesso periodo a cui risale la dipendenza da droghe). Il processo inizierà a settembre.

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