Se un marziano fosse piombato in Piemonte per osservare la campagna elettorale per la Regione, difficilmente sarebbe stato capace di individuare le differenze fra i candidati, perfino valutarne lo spessore e il peso, definito dalle conoscenze, dalla capacità di elaborazione, dalla comprensione delle complessità che il governo comporta. Tutto straordinariamente simile, tutte cose già dette e sentite sotto forma di slogan e poco più, tutte considerazioni che i candidati presidente hanno snocciolato con declinazioni linguistiche ordinarie dai contenuti simili, come se non fossero stati lì per tutto questo tempo.
Hanno parlato di agroalimentare perché è più facile che formulare proposte e ipotesi di senso compiuto su come risollevare la manifattura, di liste d’attesa come se il tema fosse esploso qualche giorno fa, di trasporti pubblici e di edilizia ospedaliera con la stessa sorprendente ingenuità di chi per la prima volta si accorge che c’è qualche problema. Dunque leggeri, ma Cirio più bravo degli altri a trattare i temi della sua campagna elettorale, trattando i suoi argomenti come se nei cinque anni passati un altro avesse usurpato il suo scranno e lui fosse via. Lo stesso per il Pd, inesistente nella sua opposizione e sempre pronto a “dialogare”, così da arrivare a presentarsi alle elezioni senza aver trattato e agito per davvero intorno a qualcuno dei punti di crisi della regione. Irrilevanti gli altri. Così a Cirio vanno 30 consiglieri, alla Pentenero 16, 3 al M5S.
Stavolta dei 3,6 milioni di elettori piemontesi alle urne se ne sono presentati poco meno di 2 milioni, un ulteriore calo dell’8% rispetto alla già scarsa affluenza delle europee 2019. Alle politiche di due anni fa era andato a votare il 66,4%, con una flessione di quasi 10 punti rispetto alle politiche del 2018. In sei anni il 20% degli elettori attivi – quelli che alle urne di solito ci vanno – si è perso per strada. Per dare l’idea, su 100 elettori, sei anni fa 25 stavano a casa, oggi a casa ci stanno in 45, quasi la metà. Non sono serviti gli appelli al voto e neanche il moralismo anti astensionista. Servirebbe che le elezioni avessero un senso, che proponessero progetti e personaggi capaci di realizzarli, qualche idea forte e un grande lavoro di preparazione per la costruzione di iniziative di opposizione che durano l’intera legislatura e forgiano la nuova proposta politica. In Piemonte l’opposizione forse ha fatto il suo lavoro nelle aule consiliari, ma non di certo nella società, in mezzo alla gente e ai fermenti sociali.
La candidata del centrosinistra Gianna Pentenero ha ottenuto in percentuale lo stesso risultato che cinque anni fa ebbe il ben più popolare Sergio Chiamparino, simile il risultato del suo partito e dei satelliti. Forse è la dimostrazione che popolare il Sergio lo era sicuramente, ma solo per i giornalisti che lo riverivano anche raccontando le sue partite a scopa con Marchionne, simbolo di una sinistra che non incide, che ha scelto altri interlocutori con cui sviluppare la sua iniziative politica e la sua contiguità umana. Sul voto al Pd sembra non aver inciso lo scandalo della famiglia Gallo che ha costretto il partito a ritirare il capolista Raffaele, che già aveva riempito la città e la provincia di Torino dei suoi manifesti di propaganda. Probabilmente lo scampato pericolo indurrà i capataz a continuare con la pratica politica che premia i fedeli, emargina i leali e allontana gli interlocutori portatori di linfa nuova. In nome della conservazione della rendita di posizione, meglio non toccare niente, specie se continua a produrre posti e prebende per una quantità sufficiente di organizzatori delle preferenze.
Probabilmente ha inciso di più lo scandaletto in casa M5S: Marco Allegretti, indagato dalle Procure di Asti e Torino per presunta truffa e raggiro per ottenere crediti fiscali. Fu candidato dal M5S alle elezioni amministrative di Torino, poi nominato nel CdA della finanziaria regionale, rimosso da Cirio per violazione del codice etico, ricandidato dal M5S alle regionali. Chissà se la coordinatrice Sarah Disabato risponderà di queste candidature e dell’assenza dalle liste dei pochi personaggi che avrebbero potuto costituire un valore aggiunto per popolarità e competenza. Anche in Piemonte, il M5S è ben sotto il 10%, ma 3 consiglieri eletti fanno festa: si occuperanno del Piemonte come hanno fatto finora o se assisteremo a un cambio di passo che rimetta in movimento il Movimento?
E’ molto forte l’impressione che il Piemonte – privo di direzione, di prospettive e di progetti che disegnano – abbia ingessato la sua rappresentanza politica fotocopiando la situazione di cinque anni fa, condita con qualche iniziativa con cui la destra segnala la sua vittoria, per adesso infierendo sulle persone più fragili, le donne che abortiscono con la “stanza della vita” annessa, gli immigrati con inutili limitazioni dell’accesso alle case popolari e altri accanimenti muscolari verso gli ultimi. Al resto della popolazione toccherà tra poco.
Per il Piemonte gli scorsi cinque anni sono passati invano: non una idea di rilancio, non un ospedale nuovo, liste d’attesa chilometriche, niente per la scuola, nulla per il lavoro se non l’accompagnamento con parole consolatorie di un declino che viene gestito altrove e da soggetti diversi dai politici. Ci aspettano altri cinque anni di questa minestra, come essere ottimisti?