In Veneto il dopo-Zaia è già cominciato, mentre la Lega deve rassegnarsi a guardare da lontano i successi di Fratelli d’Italia che ha raggiunto il 37,59 per cento dei voti, addirittura 5 punti in più delle politiche 2022, quando ottenne il migliore risultato italiano con il 32,6 per cento. Con il conteggio delle schede ancora in corso, ci ha pensato il senatore meloniano e veneziano Raffaele Speranzon a dichiarare: “L’era Zaia è finita, adesso il Veneto tocca a noi”. Una rasoiata, che mette fine a un anno di fibrillazioni dentro il centrodestra veneto, per aprire altre tensioni che sembrano destinare a durare almeno fino all’autunno 2025, quando scadrà il mandato di Zaia, a meno che le elezioni non siano rimandate al 2026.
Finora la Lega aveva cercato di ribellarsi al responso delle votazioni di quasi due anni fa, rivendicando la possibilità di un terzo mandato (in realtà il quarto) per il governatore e ripetendo la giaculatoria: “Saranno i veneti a decidere chi guiderà il Veneto, la decisione non sarà presa a Roma”. Adesso la retromarcia è vistosa. Il sindaco di Treviso Mario Conte, dallo studio dell’emittente televisiva Antenna Tre, ha aperto alla trattativa: “Capisco che dopo questi risultati FdI possa pensare di avanzare una proposta. Ci metteremo attorno a un tavolo e ogni partito del centrodestra porterà un proprio nome”.
Fino a qualche settimana fa il discorso sembrava invece un tabù. Luca De Carlo, coordinatore regionale FdI, nonché presidente della commissione agricoltura in Senato, che in passato aveva avuto scambi molto duri con gli esponenti leghisti, ora dice, quasi con soavità: “E’ legittimo che noi abbiamo un candidato governatore. La realtà dei numeri non si discute: siamo al 37,5% ed è un messaggio molto forte che arriva dai veneti. I veneti hanno detto come la pensano”. Poi una stoccata a Zaia e ai vertici della Lega in Veneto. “Io ricordo che la scelta di Zaia a candidato governatore venne presa a Roma e che l’annuncio fu dato in diretta a ‘Porta a porta’”.
La replica di Mario Conte ha cercato di limitare i danni: “Se volete vincere alle regionali dovreste candidare Giorgia Meloni, perché con il nome della premier nelle liste prendete il 37 per cento, ma alle amministrative, senza di lei, a Treviso avete preso l’11 per cento”. La verità è che la Lega è costretta a fare un passo indietro, visto che i suoi voti sono meno di un terzo di quelli di FdI in Veneto.
Ad accendere la miccia è anche Elena Donazzan, assessore regionale di FdI nella giunta Zaia. Nonostante abbia raccolto 63.250 preferenze e sia certa di andare in Europa, prima degli eletti dopo Meloni, lancia segnali inequivocabili. “Il mio sogno è sempre stato quello di fare il governatore del Veneto. Qui Fratelli d’Italia ha avuto la maggior crescita e se Zaia non potrà essere ripresentato, metto sempre la mia disponibilità a un’eventuale candidatura”.
A questo punto l’asta sulla poltrona di Palazzo Balbi è aperta. Flavio Tosi, coordinatore regionale di Forza Italia, ha preso 34.415 voti, arrivando dietro ad Antonio Tajani, che però rinuncerà all’elezione. Annuncia che anche il suo partito farà una proposta, come aveva anticipato alcune settimane fa Tajani, indicando proprio Tosi. In una parola, si rischia l’ingorgo.
Il tono della delusione in casa leghista l’ha data l’assessore regionale Roberto Marcato. Ha postato su Facebook una scritta bianca su sfondo nero: “Mettiamoci una decima sopra”. Riferimento polemico allo slogan elettorale del generale Vannacci, indipendente nelle liste della Lega, che aveva invitato a tracciare una “decima”, con riferimento alla Decima Mas, struttura militare che ha partecipato alla Repubblica di Salò. La candidatura di Vannacci non è stata digerita dalla base leghista e Zaia aveva preso le distanze dicendo che avrebbe votato (e fatto votare) tre candidati veneti. Nella realtà Vannacci ha surclassato tutti, con 142.475 preferenze, quasi più di tutte quelle che hanno preso gli altri candidati leghisti nella Circoscrizione Nordest. Le reazioni al post di Marcato sono state contrapposte: chi lo ha accusato di denigrare il suo partito, chi gli ha dato ragione, invocando le dimissioni di Matteo Salvini.
Com’è nel suo carattere, Zaia dice e non dice. “La vera vincitrice delle elezioni è Giorgia Meloni, ma come insegnano Renzi e Salvini, che cinque anni fa era arrivato al 49,9 per cento in Veneto, la vera sfida è mantenere i voti”. Cosa farà da grande non lo rivela, trincerandosi dietro la formuletta: “Io continuo a lavorare”. Chi farà il governatore? La Donazzan? “Non dovete chiederlo a me, tutti i maggiorenni possono candidarsi, ciò che accadrà fra due anni è come parlare dell’era glaciale”. Come giudica il successo di Vannacci? “Adesso i politologi avranno da discutere: chi dirà che ha portato voti alla Lega, chi dirà che ne ha fatti perdere…”. E poi una frase che la dice lunga sulle potenzialità che Zaia ritiene ancora di avere: “Io presi il 77 per cento da governatore e se scendo in campo non prendo il 9 per cento…”.
Nessun segnale di scontri con Salvini o contestazioni aperte alla linea del segretario che ha voluto candidare Vannacci, il quale ha cannibalizzato i candidati veneti. E a chi gli chiede un giudizio su Umberto Bossi, che dice di aver votato Forza Italia, replica, gelido: “Bossi ci ha insegnato la coerenza, che è votare Lega”.