Nei giorni in cui Narenda Modi cercava il trionfo per il suo terzo mandato consecutivo in India – nelle più elefantiache elezioni del mondo: su una popolazione di quasi un miliardo e mezzo di persone, circa 969 milioni hanno diritto di voto – Delhi ribolliva a una temperatura record di 50 gradi. Durante le votazioni, iniziate il 19 aprile e finite il primo giugno scorso, per il caldo estremo 77 persone sono morte: 33 erano responsabili dei seggi. Scorte d’acqua e ventilatori messi a disposizione non sono stati abbastanza nello Stato che per l’Ipcc (Intergovernmental panel on Climate Change) rimane il Paese che sarà tra i più affetti dalla crisi climatica in futuro.
La democrazia, come gli uomini, è vulnerabile alle alte temperature: lo sono seggi e urne. Innalzamento del livello del mare e inondazioni, desertificazioni e incendi mettono a rischio il voto sempre più intensamente in tutto il mondo. Ad Alberta, Canada, nel 2023 la campagna elettorale è stata sospesa per un centinaio di incendi. Già nel 2021 nella British Columbia i media spiegavano come votare ai residenti evacuati per gli incendi boschivi fuori controllo, a quanti avevano perso i documenti tra le fiamme, a chi poteva raggiungere un parente in una zona sicura. Oltreoceano pensano al rafforzamento della sicurezza della rete digitale per esprimere preferenze a distanza. Lo fa l’Australia, dove nel 2022 hanno dovuto far ricorso al voto telefonico. Nello stesso anno in Florida, Usa, l’uragano Ian, sei settimane prima delle elezioni, aveva distrutto il 12% delle infrastrutture del voto. Secondo il rapporto annuale della Ndma (Autorità per il controllo disastri nazionale), un terzo del territorio del Pakistan è stato inondato nel 2022 prima delle elezioni nazionali. Quasi 15 miliardi di dollari di danni e otto milioni di evacuati all’alba delle urne.
Votare è un diritto democratico fondamentale e bisogna prepararsi al cambiamento climatico. Lo scrivono Karen Florini e Alice Hill su Foreign Affairs. E allarmano: “fenomeni meteorologici estremi possono privare gli elettori del loro diritto di voto”; dal 2019 al 2024 più di dieci Paesi hanno affrontato catastrofi naturali durante elezioni (locali e nazionali), come è avvenuto in Mozambico nel 2019, dove i cicloni, insieme alle case di decine di migliaia di persone, hanno ingoiato anche i centri di registrazione. Tra le 68 corse elettorali che si terranno nel mondo in questo 2024, alcune (già avvenute o in arrivo) saranno più cruciali delle altre: Russia, Ue, India, Usa, Indonesia, tra i maggiori paesi produttori di emissioni di carbonio, determineranno non solo il destino dei loro cittadini, ma anche del resto del mondo, con le loro politiche climatiche.
Sempre meno giustizia climatica, sempre meno diritti. Chi si occupa di clima e ambiente rischia, rivela il sondaggio internazionale di Ejn, Earth Journalism Network e dell’università Deakin. Quattro giornalisti su dieci vengono minacciati per le loro indagini, l’11% dei rispondenti (740 reporter di 102 Paesi) per il lavoro svolto ha subito violenze fisiche da criminali. A denunciarli e portarli in tribunale o comunque minacciarli di conseguenze legali, invece aziende e governi. Il 39% dei giornalisti ha ammesso di ricorrere all’autocensura per paura di ripercussioni. Mangia seggi e mangia vite, il riscaldamento climatico, e una soluzione manca anche nell’agenda politica Ue, che ha promesso di ridurre a zero le emissioni nei prossimi venticinque anni.