Il dl Lollobrigida vieta i pannelli sui terreni agricoli, “ma non è chiaro se anche l’agrivoltaico”, denuncia Fabio Roggiolani, co-fondatore di Ecofuturo Festival. A complicare il quadro, c'è il caso Sardegna
Da un lato, ci sono le associazioni che si battono per il paesaggio e vogliono fermare l’invasione di pannelli e pale. Sullo stesso fronte, per motivi ben diversi (tra cui gli intrecci con gli interessi delle aziende fossili), la politica, soprattutto quella di centrodestra: che mentre afferma di voler rispettare gli obiettivi di neutralità oppone una sorda resistenza verso le rinnovabili. Resistenza che si esprime – come spiega Gianni Girotto, coordinatore del Comitato per la Transizione Ecologica del Movimento Cinque Stelle e delegato di Conte sull’energia – “con il fatto che le norme vengono fatte con tempi lunghissimi – pensiamo ai quattro anni per le Comunità Energetiche – o che risultino incomplete e indeterminate, creando un clima di incertezza che blocca tutto”. Un esempio emblematico di questa più o meno velata ostilità è il recente decreto legge Lollobrigida che vieterebbe i pannelli sui terreni agricoli, “il cui ambito di applicazione non è ben determinato, anche se è già esplicito che si tratta di un passo indietro rispetto a quanto era legge sino ad ora”. O come, denuncia a sua volta Fabio Roggiolani, co-fondatore di Ecofuturo Festival e membro del comitato scientifico del Coordinamento Free, “il testo del decreto Mase sull’individuazione delle aree idonee approvato venerdì scorso dalla Conferenza unificata, un capolavoro ‘annientalista’ che paralizzerà fotovoltaico ed eolico”.
Italia in ritardo, parlano i numeri.
Dall’altro lato, c’è il Partito Democratico – Annalisa Corrado, che ha la delega alla Conversione ecologica, Clima, Green Economy e Agenda 2030, appartiene al Kyoto Club – Alleanza Verdi e Sinistra e Movimento Cinque Stelle schierati insieme alle Associazioni delle Rinnovabili: come Italia Solare, Elettricità Futura, Alleanza per il Fotovoltaico, Coordinamento Free e associazioni come Greenpeace, Wwf e Legambiente. “Il nostro Paese” sostiene proprio Legambiente, “è in grande ritardo, con 1376 progetti di grandi impianti di attesa di valutazione e appena 5.677 Megawatt totali di nuova installazione nel 2023 (dati Terna). Una cifra che, afferma Gianni Girotto, “impallidisce contro i 9000 del 2010, quando i prezzi erano 4 volte maggiori, senza tenere conto del fatto che sono 13.000 i Megawatt necessari all’anno per stare al passo con gli impegni presi”.
Il caso Sardegna e la richiesta di moratoria
A complicare il quadro, però, c’è il “caso Sardegna”, con la presidente Alessandra Todde che ha chiesto una moratoria contro l’installazione di nuovi impianti e che sia la regione a decidere esattamente dove verranno messi.
Sebbene secondo Gianni Girotto “occorre ricordare che la Todde non vuole assolutamente mettere in discussione il rispetto dell’obiettivo prefissato per legge dalla Sardegna di installare entro il 2030 circa 6.000 Megawatt di rinnovabili, ma solo di volere regole chiare sulle aree idonee e ha detto che la moratoria non sarà assoluta, ma relativa, cioè solo in determinati contesti”, è vero che i comitati pro paesaggio hanno esultato per la richiesta di un temporaneo stop. E che esiste una certa convergenza tra questa posizione, il governo, Ministero della Cultura, per non parlare, ricorda Legambiente, “dei tanti contenziosi di Comuni, Regioni e cittadini (sindromi Nimby – non nel mio giardino – e Nimto, non nel mio mandato)” che rischiano di generare ulteriore incertezza e ritardi.
Se il nuovo testo aree idonee ostacola le rinnovabili
Anche se secondo il coordinatore del Comitato per la Transizione Ecologica del Movimento Cinque Stelle “occorre ricordare che la Todde, come si legge sul suo sito e nel suo programma, afferma di volere regole chiare, non di ostacolare la transizione, tanto che vorrebbe addirittura anticipare gli obiettivi assegnati alla Sardegna come rinnovabili”, è vero che i comitati pro paesaggio hanno esultato per la richiesta di un temporaneo stop. E che esiste una certa convergenza tra questa posizione e alcuni partiti di governo, che rischia di generare ulteriore incertezza e confusione. O, appunto, misure come il recentissimo testo del decreto sulle aree idonee, “che impedisce la costruzione di impianti anche in aree assolutamente idonee come cave o aree industriali, e spazi limitrofi a ferrovie o autostrade”, denuncia Roggiolani, mentre Italia Solare chiede immediatamente di fare “chiarezza e che nel contempo gli impianti autorizzati non subiscano alcuna ripercussione, che non si creino rigidità sull’agrivoltaico e che si possano realizzare impianti nelle aree adiacenti alle aziende (solar belt), per fornire loro energia a basso costo e renderle competitive”.
Investitori non sempre “squali”
E proprio i fautori delle rinnovabili chiedono un incontro immediato alla presidente della regione Sardegna. “Noi non siamo i rappresentanti dei fondi di investimento ‘squalo’ che vogliono aggredire i territori”, afferma Roggiolani. “Noi crediamo che le energie rinnovabili debbano essere a portata di tutti e che si possano stabilire regole che le imprese devono rispettare. Per questo chiediamo un incontro: tra l’altro la Sardegna è l’isola con l’impatto di carbonio più alto”.
Anche secondo Roberto Rolando, vicepresidente di Italia Solare, non esisterebbe il problema di un’invasione di speculatori. “La situazione è diversa: ci sono investitori, tedeschi, francesi, americani, cinesi, non necessariamente i produttori di tecnologia, che vengono a fare investimenti in Italia. Ma non depredano il territorio, portano occupazione relativa alla realizzazione e gestione degli impianti, un’occupazione che rimane nel paese. Sono aziende che pagano le tasse in Italia e che investono secondo le regole nazionali, non violano diritti umani. Insomma, questa visione della multinazionale ‘cattiva’ e senza regole mi sembra un po’ datata. Avviene lo stesso in tutti gli altri settori, dall’edilizia all’alberghiero all’automotive”.
Imprese meno competitive: un problema di cui non si parla
Ci sono poi molti altri aspetti che spostano l’asticella a favore di una spinta forte sulle rinnovabili. “Anzitutto, se è vero che gli uffici sono intasati di domande, cosa che preoccupa i comitati, si tratta di progetti assolutamente sovradimensionati e che in maggioranza non saranno realizzati. Rispetto alle pale eoliche voglio dire che che non contrastano né la biodiversità né frenano il turismo”, afferma Roggiolani. “Non è vero inoltre che il paesaggio viene stravolto”, spiega a sua volta Rolando, “anche perché ci sono delle Commissioni di valutazione di impatto ambientale per i progetti più importanti che devono rispettare requisiti specifici, altrimenti vengono bocciati”.
Ma il punto fondamentale che sfugge a molti – inspiegabilmente assente nel dibattito pubblico – è soprattutto uno: le rinnovabili abbassano il costo dell’energia, e perciò se non si fanno ad essere colpiti sono cittadini e imprese. “La nostra situazione non attira gli investitori, che di fronte all’incertezza se ne vanno, basti vedere cosa è stato fatto sul superbonus”, continua Girotto. Che continua: “All’estero – Spagna, Francia, Germania, ma anche i paesi dell’est – i prezzi dell’energia sono calati moltissimo da noi invece aumentano, è un paradosso, anche se ormai nessuno si azzarda a negare che le energie rinnovabili costino di meno”.
Anche la questione del consumo di suolo, infine, è un modo per nascondersi dietro un problema inesistente: “In Italia abbiamo 16 milioni di ettari di terreno agricolo e 4 milioni di ettari abbandonati perché coltivare non conviene più. Per le necessità energetiche abbiamo bisogno di 70mila ettari: i numeri parlano da soli. Gli ambientalisti pro-paesaggio dovrebbero pensare all’impatto devastante del carbone e del petrolio. Credo veramente sia un problema culturale”, conclude Girotto.