Come disse quel tale, “dio li fa e li accoppa”. E il dio di solito assenteista della politica alla fine si è stufato di questi fratelli coltelli così palesemente simili e – dunque – predisposti naturalmente a confliggere. Sempre molesti con i loro capricci da ragazzini viziati: Matteo Renzi e Carlo Calenda sono stati spazzati via in queste elezioni per il Parlamento europeo in cui si erano presentati in prima persona. Ennesimo atto di superbia che ne rende probabilmente definitiva la bocciatura. Il sonoro “basta” alla loro ingiustificata pretesa di eccezionalità megalomane, che riteneva di legare al proprio destino personale disegni salvifici di portata ineffabile, troppo grandi per essere semplicemente illustrati all’inclita e al volgo ma che di certo avrebbero assicurato loro l’ascensione al ciel dei cieli dei massimi benefattori dell’umanità.

Tipica sindrome psicologica – io credo – derivante dall’essere cresciuti in famiglie adoranti l’enfant prodige, caricato di grandi attese e nutrito di certezze illusorie.

Matteo Renzi conquista giovanissimo il canonico quarto d’ora di celebrità mediatica grazie allo zio Nicola Bovoli, già nel giro Fininvest, che accompagna il nipote diciannovenne negli studi di Canale 5 nel gennaio 1994 per partecipare al quiz La ruota della fortuna. E il giovanotto con quell’aria da secchione si farà onore vincendo 48 milioni di lire. Onore al merito o favore parentale tramite quiz aggiustai ad arte? Induce qualche sospetto l’arresto e il rinvio a giudizio – il 30 settembre 1994 – del perito Giuseppe Mazzocchi, impiegato del ministero Poste e Telecomunicazioni, reo di aver preventivamente informato Fininvest di controlli ministeriali in arrivo. Una soffiata che doveva essere premiata proprio con l’invito al quiz di Buongiorno e la vincita garantita di 30 milioni di lire.

Comunque sia, è grazie all’accesso nel mondo dell’intrattenimento che il giovane Matteo – detto dai compagni di scuola “il bomba”, per l’abitudine di spararle grosse – inizia la sua marcia di avvicinamento al suo modello ideale: Silvio Berlusconi. Perché una caratteristica psicologica comune ai nostri eroi è quella di ricercare identificazioni in figure emblematiche. E se per il provincialotto venuto da Rignano sull’Arno il referente è lo spregiudicato self made man figlio di falchetti brianzoli, per Calenda, cresciuto nell’elegante quartiere Prati, la figura di riferimento è il manager jet-set, nientepopodimeno dell’Henry Ford del Terzo Millennio Luca Cordero di Montezemolo. Stella filante della politica italiana, durata lo spazio di un mattino, in cui il giovane funzionario di Confindustria riconosce affinità di prosopopea e blasé. Tipica di coloro che lavorano al quinto piano del palazzo nero dell’Eur sede di Confindustria, a cui un tempo si aveva accesso solo se dotati di grembiulino massonico (ora non so). Persone molto convinte di sé in quanto accreditate dall’aquilotto (e non consapevoli del proprio peso minimo, se non rinforzato da quello di associati di rango).

Da qui una boria da maggiordomi, che induce a coltivare idee prive di fondamento sul proprio rango. Come si è visto in tutte le imprese industriali del Calenda entrato in politica, a partire dallo scriteriato affidamento dell’Ilva di Taranto ai magliari indiani Mittal. Il piano inclinato d’avvio dello scivolamento verso la rovina del polo siderurgico italiano. Di cui il grande stratega d’impresa continua a vantarsi. Da perfetto industrialista da convegno sulle scemenze tipo 4.0.

Tuttavia, al di là della comune sbruffonaggine, che ha davvero stufato, il limite principale di questi presuntuosi improvvisati è la loro banalizzazione dell’idea di politica, che ripropone luoghi comuni tali da almeno un quarto di secolo. Per cui oggi i commentatori mainstream interpretano il loro disastroso esito elettorale come la sconfitta del riformismo. E usano concetti privi di valenza politica come “moderati”, “centristi” e così via. Riformisti Renzi e Calenda? Ma per favore! Sono soltanto riciclatori della sbobba neo-liberista con cui a suo tempo fecero carriera Bill Clinton e Tony Blair; che ha smesso di affascinare i più avveduti da quando il mondo magico del soldo facile e delle plutocrazie benevole è stato smascherato dalla catastrofe finanziaria del 2008. Ma che il duo meraviglia continua a biascicare nella speranza di scalare la piramide sociale. Per cui Matteo Renzi, in cambio di petrodollari, ormai si è ridotto a baciare la pantofola a Mohammad bin Salman, mandante dello squartamento del giornalista Jamal Khashoggi, reo di averlo criticato.

E il Calenda? Magari lo troveremo attaccato al citofono di un inquilino romano per qualche nuova campagna elettorale. Naturalmente “seria”. Che il dio della politica lo perdoni.

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