A soffrire di “telefonofobia” sono coloro che appartengono alla Gen Z ma anche i Millennial. E, senza nulla togliere al Wall Street Journal che parla del fenomeno in un lungo articolo, secondo noi di FQMagazine ci sono anche alcuni esponenti della Gen X che condividono questa fobia (ne abbiamo le prove). Di cosa si tratta? Della paura o meglio, dell’ansia di rispondere al telefono e ‘lanciarsi’ così in una conversazione, soprattutto quando le cose da dire sono tranquillamente riportabili in una email o in chat.
La “telefonofobia” non affligge invece, spiega bene Leggo che riprende il WSJ, manager e dirigenti più anziani: “Amo la tecnologia ma crea un peso cognitivo quando non stacchiamo gli occhi da uno schermo che ospita 32 riquadri e facciamo continuamente click tra l’uno, l’altro e una chat. Quando rispondi a una telefonata pensi ‘Ah, che sollievo!’“. O almeno, lo pensa lui, il 51enne Bill Cox, vice presidente del reparto di marketing aziendale di Lyra Health, che si dice disposto ad “assumere un candidato meno competente di un altro purché parli al telefono”. E non è il solo manager a pensarla così.
Perché sì, parlare al telefono è un fattore di ansia e semmai dovesse squillare, molti lo ignorano e lo mettono in modalità silenzioso (sempre che non ci sia già, di default). Zoom, Slacks, Team, Telegram e Whatsapp sono le tante modalità scelte per comunicare. E sempre il WSJ racconta di come esista persino una figura professionale che offre soluzioni per superare la “telefonofobia”: si chiama Mary Jane Copps e la sua consulenza costa 3000 dollari per un training ai dipendenti, 195 dollari se singola. Cosa insegna? A rispondere al telefono, senza ansia.