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“Abbiamo annullato il tour perché siamo stati fregati, vi farò sapere come in modo che non succeda anche a voi”: il batterista dei Black Keys si sfoga su X. Ma come stanno le cose?

Se ci immaginiamo un live dei Black Keys viene subito da pensare a locali non molto grandi, sicuramente fumosi, sicuramente bui, sicuramente appiccicosi. Eppure, in molti hanno pensato che la scelta non sia stata tanto di posizionamento, semmai di biglietti invenduti

di Claudia Rossi
“Abbiamo annullato il tour perché siamo stati fregati, vi farò sapere come in modo che non succeda anche a voi”: il batterista dei Black Keys si sfoga su X. Ma come stanno le cose?

È il 2010 quando si giocano i mondiali di calcio in Sudafrica, Wikileaks diffonde il primo video dal titolo “Collateral Murder” e i Black Keys, cioè Dan Auerbach e Patrick Carney, pubblicano Brothers, un disco che chiunque dovrebbe avere nella propria discoteca. Tracce che raccontano della passione del duo di Akron per l’Hill Country Blues (HCB). Sul piatto gira un groove che arriva subito, fin dalla prima traccia, Everlasting Light (quel falsetto spiazzante, che entrée). Successo anche commerciale, quello di Brothers, ripetuto con il successivo El Camino (da queste parti meno apprezzato di Brothers ma ‘avercene’ oggigiorno). I Black Keys sparano, con questi due dischi, le cartucce migliori e da lì in poi diventa un privilegio andare a vederli live. Questione di repertorio. Peccato che di punto in bianco il duo abbia cancellato tutto il tour nordamericano. Che è successo? Intanto, hanno assicurato di stare bene e che torneranno “a suonare in posti più piccoli”. Ma non è tutto perché Patrick Carney ha detto chiaro e tondo una cosa abbastanza forte: “We got fucked”. “Siamo stati fregati”. E poi: “Vi farò sapere come, in modo che non succeda anche a voi. Restate sintonizzati”. Aspettiamo.

Intanto qualche mese fa è uscito il dodicesimo album della band, Ohio Players, con diverse collaborazioni importanti, da Beck a Noel Gallagher. No che non è come Brothers (benché l’accoglienza della critica sia stata positiva). Ma torniamo alle date del tour in Nord America (partenza prevista il 17 settembre da Tulsa, Oklahoma) cancellate e alla comunicazione sull’intenzione di suonare in posti più piccoli: non più palazzetti, quindi, ma locali. “I biglietti verranno rimborsati”, avevano subito comunicato i due, alla metà di maggio. Ma che è successo? Se ci immaginiamo un live dei Black Keys viene subito da pensare a locali non molto grandi, sicuramente fumosi, sicuramente bui, sicuramente appiccicosi. Eppure, in molti hanno pensato che la scelta non sia stata tanto di posizionamento, semmai di biglietti invenduti.

Il settore dei live è sempre meno decifrabile, con artisti che riempiono palazzetti grazie un’infilata di singoli di cui non rimarrà traccia nel mondo e con improvvisate negli stadi da ‘una botta e via‘ (oggi un San Siro non si nega a nessuno e solo sei sei Vasco puoi fare vedere “chi comanda” facendone sette praticamente di fila, a scanso di equivoci). Questo accade in Italia, oggi.

E negli Stati Uniti? La faccenda del prezzo dei biglietti che si gonfia fino a diventare insostenibile sta cambiando le cose. Gli artisti con meno hype sono quelli ‘tagliati’ per primi. Certo, persino le popstar di fama planetaria sembrano avere qualche problemino, vedi Jennifer Lopez che ha cancellato il tour chissà se per via della crisi amorosa con Ben Affleck o se per via dei posti vuoti. Le dinamiche statunitensi sono molto diverse dalle nostre e così anche quelle di attribuzione dei prezzi dei biglietti. È del 23 maggio scorso la notizia che il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha fatto causa a Live Nation con l’accusa che la multinazionale e la sua divisione Ticketmaster gonfiano illegalmente i prezzi dei concerti e hanno danneggiato gli artisti.

La domanda è quindi servita: il boom dei live post-pandemia si sta ammosciando negli Stati Uniti, prima pedina a cadere nel domino di Paesi? Se lo chiede (tra gli altri) la Nbc che ha sentito Dave Clark, un redattore di Ticket News convinto che la crescita del settore della musica live post-pandemia sia stata una bolla: la gente era più desiderosa di tornare alla musica dal vivo ed era finanziariamente ‘messa meglio’, decisa ad andare a quanti più spettacoli possibili. Un altro fattore di arresto, sempre secondo Clark, potrebbe essere la presenza di troppi artisti che cercano di andare in tournée contemporaneamente o troppe volte di fila, anche perché il rendimento delle vendite dei dischi e della musica ascoltata su piattaforma si è radicalmente ridotto. “Ora fanno i dischi per vendere il tour”.

Quanto è vero. E viene da pensare, ma magari ci si sbaglia, che chi ancora fa i dischi per fare i dischi e non per vendere il tour, alla fine si trovi come i Black Keys. Fregato.

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