In Italia ricorderemo le elezioni europee 2024 per un dato storico: per la prima volta chi non è andato a votare supera in numeri assoluti chi invece ci è andato. La partecipazione elettorale è crollata al 49,69% dal precedente 54,5% delle europee 2019.

L’alto tasso di astensione si configura sempre più come dato strutturale. Non rappresenta mero qualunquismo (né è anticipatore di una ribellione di massa), ma un prodotto della “passivizzazione di massa” tipica di un’epoca i cui sentimenti prevalenti sono rassegnazione e disillusione e in cui chi detiene le leve del potere, più che la ricerca e l’organizzazione del consenso, mira alla disattivazione del potenziale dissenso.

Se è vero che anche stavolta, ricordandosi degli astenuti solo per qualche minuto, quasi tutti cantano vittoria, i due attori che escono rafforzati sono Meloni e Schlein.

Tra i grandi Stati Ue, solo in Italia chi è al governo non perde troppi voti rispetto alle elezioni politiche (FdI ha raggiunto quota 28,8%). Diversamente da Meloni, Macron e Scholz vengono travolti, Sanchez tiene ma paga comunque pegno. Vero che l’ultradestra nei due Paesi chiave dell’Ue, Francia e Germania, fa balzi ben più ampi di quelli di FdI, ma può contare sul capitale che deriva dall’essere all’opposizione.

Meloni è oggi l’incarnazione del patto che permette all’ultradestra di governare senza incontrare resistenze dal potere costituito: subalternità alla Nato e adesione alla lotta contro i lavoratori che va sotto il nome di Patto di Stabilità (spoiler: nuova austerità).

L’Italia, spesso descritta come ultima ruota del carro, è invece laboratorio politico. Possibile anticipatrice di nuovi modelli.

Con l’avanzata del Pd, che raggiunge il 24% dei consensi, prima ancora che la leadership di Schlein, si rafforza il nuovo bipolarismo che caratterizza il nostro Paese. Da una parte l’ultradestra Nato-ista e liberista, dall’altra un Pd sempre Nato-ista e comunque liberista. Sono gli elementi del nuovo “consenso internazionale” su cui devono convergere e convergono i principali attori politici se vogliono aspirare al governo.

Il successo di AVS e il tracollo del M5S sono altri fattori che rafforzano questo bipolarismo. Se è vero che è ancora troppo presto per considerare definitivamente riassorbita l’anomalia grillina, la sfida al Pd per la leadership del centrosinistra è al momento persa. E se Conte vorrà confermare la collocazione del M5S partirà dalla posizione di junior partner. Dall’altra parte, Bonelli-Fratoianni hanno confermato la loro opzione strategica: l’alleanza con il Pd è strutturale.

I due candidati non segretari di partito che hanno ricevuto più attenzione mediatica sono Vannacci e Salis. Per certi versi il diavolo e l’acqua santa. Il generale che inneggia alla X MAS raccoglie più di 530mila preferenze. Chi oggi si stupisce del suo pieno di voti non considera due elementi: Vannacci è specchio di un pezzo di Paese più ampio di quanto possiamo immaginare se ci rinchiudiamo in confortevoli bolle, virtuali o reali che siano. Inoltre, Vannacci ha goduto di un’esposizione mediatica che l’ha trasformato in pochi mesi da assoluto sconosciuto a re delle preferenze. Presenza fissa in tv nei soli primi 3 mesi del 2024, il cognome “Vannacci” compariva nel titolo di 50 articoli sul Corriere della Sera online e in 46 su Repubblica online. In media un articolo su Vannacci ogni due giorni sui due principali quotidiani italiani. Chi ha costruito la figura pubblica del “generale X MAS”?

Ilaria Salis, eletta nelle file di AVS, conquista – in due sole circoscrizioni – ben 175mila preferenze. Per la sua liberazione si è attivata un’ampia parte del Paese, che supera i confini dei partiti che l’hanno candidata. È stata un traino per l’intera lista e, se AVS avesse avuto il coraggio di candidarla in tutte le circoscrizioni, avrebbe potuto sfondare il muro delle 400mila preferenze. Altro che “ostacolo”, come da troppe parti si è sentito dire.

In molti casi chi ha votato AVS scrivendo Salis l’ha fatto in base a un obiettivo concreto e raggiungibile: la liberazione di un’antifascista. È quanto abbiamo fatto noi di Potere al Popolo!, ad esempio, che, pur non condividendo il progetto di AVS – stampella del Pd che si ripropone in quanto tale nelle amministrative di questa tornata e continuerà a farlo alle prossime politiche – ci siamo attivati perché, come ha scritto Alessandro Robecchi, “un’antifascista che esce di galera è sempre una buona notizia”. E questa buona notizia è arrivata!

La mediaticità dei candidati è centrale quando si vota con le preferenze, un meccanismo che “spinge” a scegliere l’individuo più che il progetto. Se si vanno a leggere i nomi degli eletti dei diversi partiti, molti sono volti noti, personaggi mediatici prima ancora che politici (fanno eccezione gli amministratori locali). Il potere mediatico è chiave nella costruzione e legittimazione degli attori politici.

Per finire, sul da farsi.

In Europa il quadro si sposta ancor più a destra: l’ultradestra di ECR e ID avanza; la destra del Ppe assume temi e toni dei “cugini”; liberali, verdi e socialdemocratici sono spesso i fan più sfegatati della necessità di guerra e armi (Macron e Scholz in primis).

Se vogliamo cambiare rapporti di forza, dobbiamo agire anche fuori dal terreno elettorale.

Se le organizzazioni politiche si riducono a comitati che lavorano solo per macinare voti, la battaglia è già persa.

Le trasformazioni nella vita quotidiana le si costruisce a partire da presenza, costanza e orizzonte. Presenza in carne e ossa. Nelle battaglie che hanno luogo nella società anche quando non arrivano le telecamere. Anche presenza virtuale, negli spazi della comunicazione di massa. Che deve servire alla battaglia delle idee.

Costanza: le lotte per migliorare le nostre vite durano anni. A volte decenni. La temporalità della trasformazione, che piaccia o meno, non è quella dello swipe o di una storia Instagram.

Orizzonte: non lasciarsi ingabbiare nei limiti del “non si può fare niente”; non arrendersi all’idea che non c’è vita fuori dal bipolarismo Nato-ista e liberista; costruire un campo popolare autonomo (dal punto di vista politico-culturale prima ancora che elettorale), portatore di un’alternativa di sistema, cosa assai diversa dalla mera alternanza.

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