Il programma politico del Partito Popolare Europeo, che dopo il voto avrà ancora più potere a Bruxelles, lo aveva anticipato. Le dichiarazioni dei leader dei governi presenti alla cerimonia del D-Day in Normandia lo avevano confermato. Se non fosse sufficiente l’Europa ha comunque già chiarito che sulla guerra rimane compatta, nonostante alleanze tutte da costruire e nomine da decidere: il sostegno a Kiev non è in discussione. Solo una variabile può cambiare gli equilibri: molti leader sono usciti malconci dal voto e in altri Paesi si terranno elezioni già quest’anno. Così, il fronte dei contrari in Consiglio Ue rischia di crescere.

Europa unita nella guerra a Putin
Sono passate poche ore dallo spoglio in Ue, ma Ursula von der Leyen, rinata dalle sue stesse ceneri dopo l’exploit del Ppe e i risultati deludenti, a diversi livelli, dei suoi ipotetici alleati, parla già da riconfermata presidente della Commissione. E in cima alle sue preoccupazioni c’è un dossier in particolare: quello della guerra contro Vladimir Putin. “Putin deve fallire e l’Ucraina deve affermarsi. E noi dobbiamo aiutare l’Ucraina a governare da sola il suo futuro. Dobbiamo dare all’Ucraina quello di cui ha bisogno”, ha dichiarato l’ex ministra tedesca. D’altra parte, è proprio il partito che l’ha candidata a rendere chiara quale sia la linea da seguire per i prossimi cinque anni: investimenti nella Difesa che non deve più tenere conto delle esigenze dei singoli Stati, ma prevedere uno scambio di informazioni e know-how che la rendano omogenea per mezzi e tecnologie in tutto il continente. Un piano che serva a riempire nuovamente le scorte degli Stati membri, garantendo così la loro sicurezza, ma che allo stesso tempo permetta a Kiev di continuare a ricevere il sostegno di cui necessita.

E in questa direzione puntano i governi dei principali Paesi europei. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, il giorno dopo le elezioni ha detto di escludere “che il fronte europeo si incrini. Perché tutti quanti sanno bene che la difesa del diritto internazionale è un valore, come l’indipendenza dell’Ucraina”. Il giorno dopo è stato il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, a dire che “Putin dovrebbe essere disposto a ritirare le truppe”. E l’11 giugno lo ha ribadito: non ci sarà “nessuna vittoria militare” e “nessuna pace dettata” da Vladimir Putin. “Vorrei chiedere a tutti di sostenere l’Ucraina nella difesa aerea. Perché la migliore ricostruzione è quella che non deve cominciare mai. Assicurare la pace non significa alzare bandiera bianca o capitolare di fronte alla violenza e all’ingiustizia. La pace non significa sottomissione”.

Emmanuel Macron, ormai diventato il ‘falco’ europeo della guerra a Putin, conferma la sua posizione: “Dinanzi al ritorno della guerra nel nostro continente, di fronte alla rimessa in questione di tutto ciò per cui (gli eroi dello sbarco, ndr) si sono battuti, a chi vorrebbe spostare le frontiere o riscrivere la storia, dobbiamo essere degni di chi ha combattuto qui. Grazie al popolo ucraino per il suo gusto della libertà. Siamo con voi e non cederemo“.

L’accelerata della Commissione
Che il conflitto in Ucraina sia al centro dei pensieri di von der Leyen è chiaro da ormai più di un anno, da quando ha scelto apertamente di intraprendere la strada dell’intransigenza nei confronti del Cremlino, mai lasciando spazio alla possibilità di un dialogo senza il ritiro totale dei russi dai territori ucraini. Non a caso, l’ultimo atto della Commissione è stato quello di dare parere favorevole sul rispetto degli standard necessari per l’adesione all’Ue da parte di Ucraina e Moldova. Una decisione che può apparire un atto simbolico, ma che ha invece conseguenze ben più concrete: accelerare il processo di adesione ucraino all’Ue, che in fatto di Difesa da attacchi esterni ha delle clausole simili a quelle della Nato, con il Paese ancora in guerra vuol dire esporsi al rischio di un coinvolgimento diretto dell’Unione nel conflitto in corso.

Se von der Leyen venisse confermata alla guida della Commissione, quindi, il sostegno a Kiev continuerebbe su due linee parallele ben delineate prima della fine della legislatura: invio di armi e fondi per continuare la guerra a Putin e proseguimento rapido del processo d’adesione all’Ue. La presidente della Commissione ha già annunciato che “consegneremo all’Ucraina 1,9 miliardi di euro addizionali dal nostro Ukraine Facility entro la fine di questo mese”. E ha poi ricordato che le trattative per l’ingresso tra gli Stati membri devono procedere rapidamente: “Noi crediamo che i negoziati dell’Ucraina per l’ingresso in Ue dovrebbero iniziare già alla fine del mese“.

Unica incognita: i cambi di casacca in Consiglio Ue
Se le forze maggioritarie in Parlamento, che poi si ripercuotono anche nelle nomine in Commissione, sono compatte sul sostegno a Kiev, qualcosa potrebbe cambiare negli equilibri in sede di Consiglio, dove i governi si riuniscono per trovare un punto d’incontro anche su temi come l’invio di aiuti all’Ucraina e le sanzioni da imporre alla Russia. Fino a oggi si è assistito a decisioni prese quasi all’unanimità, con più o meno lunghi periodi di ostruzionismo da parte dell’Ungheria di Viktor Orban che, in cambio di alcune concessioni sullo sblocco di fondi congelati, sono stati superati. Ma i risultati delle urne hanno riconsegnato all’Europa alcuni governi più deboli e, a questo punto, non sicuri di sopravvivere a lungo.

Su tutte emerge la situazione francese. Emmanuel Macron è stato doppiato nei consensi dal Rassemblement National di Marine Le Pen e ha rilanciato convocando elezioni legislative per il 30 giugno. Se i risultati dovessero essere confermati, il presidente potrebbe decidere di dimettersi o di rimanere in coabitazione con un governo di estrema destra. In caso di rinuncia alla carica, ecco che in Consiglio Ue dovrebbe lasciare posto alla leader di un partito contrario al sostegno a Kiev. Diversa la situazione del cancelliere tedesco Olaf Scholz che, in caso di sfiducia o dimissioni, verrebbe con ogni probabilità sostituito da un cancelliere della Cdu, quindi sulla stessa linea della maggior parte dei Paesi Ue.

In Austria, dove si voterà a settembre, l’ultradestra del Fpö ha chiuso le Europee come primo partito nel Paese. Se il risultato dovesse essere confermato alle Politiche, in Consiglio Ue entrerebbe un altro leader contrario al sostegno all’Ucraina. Posizioni già espresse anche dal premier slovacco Robert Fico, senza dimenticare l’incognita Belgio. Insomma, se in Commissione e Parlamento la linea von der Leyen non è in discussione, tra i leader Ue il gruppo di chi vorrebbe finirla con gli aiuti a Zelensky rischia di aumentare nell’arco di pochi mesi.

X: @GianniRosini

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