L’ospedale san Giovanni Bosco di Napoli era (ancora) sotto il controllo del clan Contini, una delle famiglie camorriste della cosiddetta “alleanza di Secondigliano“. A scoprirlo un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia coordinata dai pm Rosa Volpe, Daniela Varone e Alessandra Converso e condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo, che all’alba del 12 giugno hanno eseguito 11 misure cautelari, otto in carcere e tre ai domiciliari, e diversi sequestri. Gli arrestati, accusati di associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori, sono esponenti dell’organizzazione, attiva nelle zone di San Giovanniello, Borgo San Antonio Abate, Ferrovia, Vasto-Arenaccia, Stadera-Poggioreale e Rione Amicizia. Dalle indagini, iniziate nel dicembre 2021, è emerso che l’attuale struttura di vertice del clan determinava la gestione funzionale dell’ospedale, di cui aveva in gestione il parcheggio e la mensa (oltre a controllare lo spaccio di droga all’interno della struttura). Inoltre, secondo l’accusa, i capi della cosca avevano intestato due società di noleggio auto a prestanome tenuti a libro paga: le quote e i beni aziendali sono stati sequestrati. Gli indagati – comunicano gli inquirenti – si occupavano inoltre delle scelte strategiche ed economiche del clan e dei rapporti con le altre consorterie criminali.
La “potente organizzazione” dell’alleanza di Secondigliano, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, si è “di fatto impossessata di interi settori commerciali e imprenditoriali”, “nonché di alcune strutture pubbliche assolutamente nevralgiche come alcuni degli ospedali più importanti di Napoli, utilizzati non solo per organizzare summit criminali o per ricevere le vittime di rapporti usurai o estorsivi, ma anche come ulteriore strumento di gestione del proprio potere mafioso”. L’alleanza, scrive la gip Federica Colucci, “è riuscita a portare avanti il progetto espansivo iniziato negli anni Novanta” nonostante la repressione di magistratura e forze dell’ordine, mostrando “intelligenza e lungimiranza criminale, degna di veri statisti dell’antistato“.
Nel provvedimento che ha fatto scattare gli arresti è descritto un episodio-simbolo del controllo dei clan sul San Giovanni Bosco: nel luglio del 2018, esponenti dei Contini furono contattati dai clan del Parco Verde di Caivano per chiedere “un occhio di riguardo” per una ragazza a loro vicina, ricoverata in terapia intensiva proprio al San Giovanni Bosco. Quando la paziente si risvegliò, secondo il racconto di un collaboratore di giustizia, ai suoi amici e familiari fu permesso di entrare “anche in quattro o cinque” insieme, mentre di solito “si entra uno alla volta”. Gli infermieri, però – spiega – erano al corrente dello “status” speciale della ricoverata: “Bastava dire che appartenevamo alla ragazza del Parco Verde e si mettevano a disposizione. Ci davano i camici ed entravamo”.
I legami tra la camorra e l’ospedale, d’altra parte erano emersi già nel 2019, con una maxi-operazione che portò a 125 arresti: l’allora procuratore partenopeo Giovanni Melillo aveva spiegato come la struttura fosse diventata “una sorta di sede sociale” dell’Alleanza di Secondigliano, composta, oltre che dai Contini, dai clan Mallardo e Licciardi. “Gli uomini dei Contini controllavano il funzionamento dell’ospedale, dalle assunzioni, agli appalti, alle relazioni sindacali. L’ospedale era diventata la base logistica per trame delittuose, come per le truffe assicurative attraverso la predisposizione certificati medici falsi”, aveva detto Melillo in conferenza stampa. Già nel 2014 erano finite sotto sequestro le aziende titolari delle attività di mensa, bar e ristorazione all’interno dell’ospedale, riferibili a un affiliato al clan.