Politica

Premierato, al Senato voto finale il 18 giugno. Proteste delle opposizioni in Aula e Transatlantico: “Parlamento imbavagliato”

Il voto finale del Senato sulla riforma costituzionale sul premierato è fissato per martedì 18 giugno alle 15. Sarà il primo via libera del Parlamento alla legge che introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio e tutta una serie di rafforzamenti dei suoi poteri. L’articolo che fa da cuore della riforma è stato approvato oggi con il solo voto (favorevole) della maggioranza e l’uscita dall’Aula delle opposizioni. Il testo non dice come verrà eletto il presidente del Consiglio rinviando ad una successiva legge elettorale e quindi ordinaria ed è questo uno dei punti criticati dalle opposizioni.

Va peraltro detto che la stessa questione era stata sollevata da pezzi della stessa maggioranza, a partire dall’ex presidente del Senato e ora parlamentare di Fratelli d’Italia Marcello Pera. Le opposizioni hanno protestato sia dentro che fuori dall’Aula. Prima esponendo cartelli con scritte come “Parlamento con bavaglio“, “imbavagliati”, “bavaglio alla democrazia”, (riferendosi all’esaurimento dei tempi concessi per gli interventi), altri hanno mostrato un cartello con le ultime parole pronunciate da Giacomo Matteotti alla Camera nel suo intervento il 4 giugno 1924: “A me no”. E la stessa manifestazione di dissenso dei partiti progressisti è proseguita anche in Transatlantico.

Nella conferenza dei capigruppo convocata dopo la sospensione della seduta dovuta alle proteste è stato deciso che – in deroga parziale al contingentamento dei tempi deciso all’inizio dell’esame della legge dovuto all’ostruzionismo parlamentare del centrosinistra – sono state concesse ulteriori due ore di discussione ma sono stati fissati data e ora dell’orario di chiusura. Quindi si potrebbe ricorrere anche a sedute notturne.

L’articolo 5 votato oggi, fulcro della riforma, prevede che “il presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per cinque anni, per non più di due legislature consecutive, elevate a tre qualora nelle precedenti abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi”. La riforma stabilisce poi che “il presidente della Repubblica conferisce al presidente del Consiglio dei ministri eletto l’incarico di formare il governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i ministri” . Sul ruolo del capo dello Stato, tuttavia, si fonda la gran parte delle critiche alla riforma: con il rafforzamento dei poteri del capo del governo, è il ragionamento, automaticamente, sarebbero indeboliti quelli di garanzia del presidente della Repubblica.

L’aula ha inoltre approvato il sesto articolo, quello che riguarda proprio i meccanismi di elezione di Palazzo Madama: restano “su base regionale”, ma il ddl Casellati aggiunge le parole “salvo il premio su base nazionale previsto dall’articolo 92”. Infatti il precedente articolo 5 ha inserito nell’articolo 92 della Carta la previsione di un premio di maggioranza per le liste che appoggiano il candidato premier uscito vincitore dalle elezione. Il Senato ha subito cominciato l’esame dell’articolo 7, che riguarda le crisi di governo e su cui c’è un emendamento dell’esecutivo.

“La maggioranza va avanti a testa bassa e le opposizioni non possono fare altro che reagire e dire no con tutti gli strumenti democratici per fermarli. Hanno confermato i tempi di approvazione del ddl sul premierato, noi siamo contrari e lo diremo in Aula” ribadisce il capogruppo del Pd in Senato Francesco Boccia. Più nel merito: “Oggi il Parlamento è sciolto solo dal capo dello Stato, che con la loro riforma diventerà non più il garante dell’unità nazionale ma diverrà un notaio, attribuendo tutti i poteri al presidente del Consiglio, anzi alla presidente del Consiglio, visto che loro vedono una sola presidente del Consiglio e questo ci preoccupa”. Il fatto che nella discussione nessuno della maggioranza di centrodestra intervenga, aggiunge il capogruppo del M5s Stefano Patuanelli, è “un anticipo di premierato, è esattamente quello che succederà quando questa riforma sarà approvata con il referendum dagli italiani (cosa che io mi auguro non accada). In un ipotetico futuro in cui ciò avvenisse, la maggioranza sarà costretta a questo”.