Stimolato da una recente intervista rilasciata dal regista al Corriere della Sera, ho guardato il documentario di Francesco De Augustinis: Until the end of the world. Conoscevo già le problematiche relative alla pesca nel mondo ma devo dire che mi mancava un tassello, e cioè questo approfondito documento visivo che, partendo dalla “fine del mondo”, Punta Arenas in Cile, vi ritorna affrontando le varie problematiche relative appunto alla pesca in acque libere e all’acquacoltura, cioè agli allevamenti di pesci o molluschi. Come se tutto fosse collegato. Anzi perché tutto è collegato. Dallo sfruttamento industriale delle acque oceaniche, ai mangimi per i pesci allevati.

Sarebbero tante le considerazioni da fare su questo fondamentale documento che il regista ha girato in prima persona viaggiando per il mondo. La prima è che la colonizzazione continua. Quello che afferma Amitav Gosh nel suo La maledizione della noce moscata, e cioè la feroce storia di conquista e sfruttamento, dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura, continua imperterrita, anche nel campo della pesca, che è tutt’altro che un mondo secondario considerato che i pesci fanno sempre più parte della dieta di molte popolazioni nel mondo e in particolare di noi occidentali. La seconda considerazione è che appunto noi occidentali viviamo senza sapere cosa c’è dietro in particolare a ciò che mangiamo, ma lo stesso vale per la transizione ecologica e le miniere aperte nel mondo e i villaggi del cancro in Cina.

Ciò che mangiamo non è solo la carne di vitello o di suino o le uova che derivano dagli allevamenti intensivi, ma anche il salmone o la spigola o l’orata o il rombo o l’ombrina o il pagro chiusi dentro le gabbie a girare in tondo tutta la loro breve vita, mangiando scarti di pesce, krill e antibiotici. O magari lo sappiamo, ma siamo vittime di quel fenomeno sempre più diffuso che è l’escapismo. Il pesce allevato nel 2021 ha superato il pesce pescato, e questo significa, tra l’altro, che in Senegal la popolazione rivierasca si impoverisce e che i banchi di krill in Antartide sono soggetti a sovrasfruttamento. Ma questo non importa su in alto, dove si prendono le decisioni, visto che la FAO gioisce se gli allevamenti intensivi aumentano dovunque nel mondo, anche quelli di salmone in Cile, dove il salmone proprio non ci vive.

Tutto questo e molto altro racconta con piglio asciutto ma documentato De Augustinis, in un’opera che dovrebbe avere la massima diffusione, soprattutto nelle scuole, come strumento didattico, proprio per capire cosa ci sta a monte di tutto. Consiglio a tutti la visione, magari anche in uno con un altro film di denuncia degli effetti della globalizzazione nel campo della pesca, “L’incubo di Darwin”: per capire cosa ci sta a monte dei filetti di persico che tanti adorano. Perché non sanno di pesce…

Il film Until the end of the world è visibile in streaming fino al 18 giugno: non perdetelo.

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