Un’onda arancione travolse il calcio nei mondiali del 1974 in Germania: l’Olanda di Rinus Michels, battuta 2-1 in finale dai tedeschi, in meno di un mese cambiò la storia dello sport più popolare del pianeta. I Beatles del football furono i giocatori Oranje: Johan Cruijff come John Lennon, Johan Neeskens come Paul McCartney, Willem Van Hanegem come George Harrison, Rob Rensenbrink come Ringo Starr. Cinquant’anni dopo, rieccoci in Germania, con il campionato europeo e con l’Italia spallettiana detentrice del titolo. Il calcio di oggi è figlio di quell’estate e della Beat generation olandese: Pep Guardiola non sarebbe stato probabilmente Pep Guardiola se non avesse giocato nel Barcellona di Cruijff.

La rivoluzione arancione è stata partorita in Inghilterra: l’allenatore che impose nell’Ajax di Amsterdam i principi del calcio totale, il “Totaalvoetbal”, fu un signore di Manchester, con tanto di bombetta in panchina. Jack Reynolds, nato nel 1881, fu il coach dei “Lancieri” dal 1915 al 1925 e, in una seconda finestra, dal 1945 al 1947. Reynolds appartiene alla categoria dei personaggi leggendari, che hanno attraversato la storia con il passaporto del calcio. Imprigionato dai nazisti dopo la conquista dell’Olanda, scappò in Francia, si rifugiò avventurosamente nella sua Inghilterra e, alla fine della Seconda guerra mondiale, tornò in Olanda per completare la sua rivoluzione, in una nazione dove il calcio solo nel 1954 avrebbe raggiunto la dimensione professionistica. Nell’Ajax di Reynolds, giocò Rinus Michels. Il “generale”, come sarà ribattezzato il guru di Amsterdam, assorbì la lezione del coach di Manchester. La ripropose con la generazione dei fenomeni. Un nome su tutti: Johann Cruijff, il Profeta non solo del gol, ma anche di un nuovo calcio. Cruijff, in questo giocò di specchi, imporrà da allenatore a Barcellona il “totaalvoetbal”. Il testimone sarà raccolto, sempre a Barcellona, da Pep Guardiola, il vate del “tiqui-taca”. Reynolds, Michels, Cruijff, Guardiola: la linea genealogica in senso verticale del calcio olandese.

La rivoluzione ha pagato a livello di club. Le squadre olandesi dominarono la scena – con tedeschi e inglesi – negli anni Settanta. Un bel gruzzolo di successi: in Coppa dei Campioni, i trionfi del Feyenoord nel 1970 e dell’Ajax nel triennio 1971-1973, mentre, in Coppa Uefa, s’imposero il Feyenoord nel 1974 e il PSV Eindhoven nel 1978. La nazionale fu meno fortunata: due secondi posti nei mondiali 1974 e 1978, con il doppio ko in finale contro i padroni di casa, Germania e Argentina. L’Olanda del 1974, quella che cambiò la storia, incantò il mondo. L’Arancia Meccanica travolse gli avversari, mostrando un calcio spettacolare che rappresentava lo spirito “beat” di quegli anni. Perché poi è questa l’altra qualità dello squadrone di Michels, versione ct degli Oranje: la sintonia con i movimenti giovanili dell’epoca.

Il giorno che accese la luce fu il 4-0 all’Argentina, il 26 giugno, in quel di Gelsenkirchen. L’Olanda aveva superato il girone eliminatorio senza problemi. Il poker all’Albiceleste segnò il passaggio definitivo, sul palcoscenico planetario, da un calcio tradizionale al nuovo mondo. Il 2-0 al Brasile, campione in carica, fu un’altra lezione sublime. La finale contro i padroni di casa, a Monaco di Baviera, regalò un avvio entrato nella storia. Calcio d’inizio a favore degli olandesi e dopo una serie di quindici passaggi, sgambetto in area di Vogts per fermare Cruijff. Il mediano Neeskens, esempio spettacolare del nuovo corso, centrocampista box to box, firmò al 2’ il rigore dell’1-0. Il primo tedesco a toccare il pallone dopo il calcio d’inizio fu Maier, decisivo quel pomeriggio. Il portiere della Germania raccolse il pallone dalla rete e lo rilanciò verso il centrocampo. La nazionale tedesca iniziò finalmente a giocare. L’1-1 di Breitner dal dischetto e il 2-1 di Mueller produssero il ribaltone che consegnò il titolo iridato alla Germania, dopo una sfida cattiva, con molti falli: con le regole di oggi, ci sarebbero stati almeno quattro espulsi. Si disse, e si scrisse, che alcuni giocatori olandesi, a cominciare da Van Hanegem che ebbe la famiglia sterminata dai nazisti, affrontarono quella sfida con spirito di vendetta. Quasi tutti erano figli della guerra: la tesi in qualche modo reggeva.

L’Olanda fu la vincitrice morale del torneo, simbolo di una nuova era. Quell’estate, nelle spiagge italiane, sui giornali e nei ritiri delle squadre della Serie A, si parlò solo del modello “oranje”, dal football totale alle mogli in ritiro. La rivoluzione inglobò anche il costume: l’anima conservatrice, un filo bigotta del calcio, fu travolta dai ragazzi arancioni. Nulla fu come prima: cambiarono allenamenti, tattiche, idee, stili di vita. L’Italia, eliminata in Germania nel 1974 nella prima fase, ripartì da Fulvio Bernardini, l’uomo che aveva vinto gli scudetti a Firenze e Bologna. Il suo ritiro fiume a Coverciano e la politica dei “piedi buoni” furono le basi che avrebbero portato gli azzurri di Enzo Bearzot a vincere il mondiale nel 1982. Il calcio olandese travolse tutto e tutti, anche l’Italia del catenaccio e del contropiede. Se oggi ci divertiamo a seguire le imprese delle squadre più brillanti e spettacolari, con la televisione che spara ogni giorno e a tutte le ore calcio a volontà da tutte le latitudini del mondo, dobbiamo ringraziare quell’Olanda e quegli uomini di frontiera.

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