di Michele Versace
Quando ero adolescente e cominciavo a interessarmi di politica, ciò che mi stupiva era il basso numero di elettori che partecipava alle elezioni americane. Da noi allora si viaggiava tra il 70 e l’80%, mentre oltreoceano raramente si superava il 50. Allora non ne capivo la ragione, ma ora che ci stiamo americanizzando le cose si fanno più chiare.
Il disinteressamento verso la politica è la condizione necessaria per gestire e rendere amorfa e indolente una popolazione altrimenti reattiva e pensante. Per giungere a questo risultato è stato necessario svilire la pubblica istruzione, soprattutto su storia e letteratura, e poi trasformare la televisione da strumento per la diffusione della cultura in strumento di propaganda a senso unico. Ad esempio, i risultati delle ultime elezioni europee sono stati venduti da gran parte dei media come un balzo in avanti della Meloni, quando in realtà si è trattato di un balzo indietro dei suoi avversari (FdI ha perso oltre 600.000 voti).
In poche parole, il cittadino-elettore ha l’impressione che i politici siano tutti uguali e che non valga la pena di andare a votare, perché anche quando ci fu la possibilità di un vero cambiamento, la casta reagì di conseguenza e fece di tutto per sabotare quell’esperienza, mentre la sedicente informazione contribuiva infangando persone integerrime.
Chi ha ancora la capacità di indignarsi non va più a votare, e gli altri in parte sono vittime del voto di scambio, tornato in auge dopo l’abolizione del reddito di cittadinanza (inviso a tutti, dalla destra alla sedicente sinistra) e in parte sono poco più che automi che credono, obbediscono e “combattono”.
A tutto ciò si somma quanto avevo già esposto alcuni mesi fa, ossia che un popolo di furbetti (che usufruisce di condoni, concorsi truccati, evasione fiscale, raccomandazioni, etc.) non potrà mai accettare di essere governato da politici onesti: non si sa mai, potrebbero perdere quei privilegi che li fanno sentire sempre più furbi degli altri.