Undici ori, 24 podi totali, il medagliere letteralmente dominato, stracciando Francia e Gran Bretagna. Quelli di Roma 2024 sono stati i migliori Europei di sempre per l’atletica leggera italiana, tanto che i successi in pista hanno (quasi) fatto dimenticare i disastri dell’organizzazione svelati dal Fatto. Sette giorni di trionfi a ripetizione e senza soluzione di continuità: dall’ennesimo show del capitano Gianmarco Tamberi al bis di Marcell Jacobs, dalle conferme di Palmisano e Fabbri fino all’esplosione di Simonelli e Furlani, senza dimenticare le rivelazioni Fantini, Battocletti, Ali, per chiudere in bellezza con le staffette. L’elenco delle imprese azzurre è lungo e celebra la definitiva rinascita dell’atletica italiana.

LA SEMINA DELL’EX PRESIDENTE GIOMI, IL RACCOLTO DEL N.1 MEI – Con un misto di stupore ed entusiasmo, bisogna interrogarsi sul successo di questa edizione, da dove arriva, che cosa significa. Muovendo da un assunto piuttosto sconvolgente: oggi l’Italia è la grande potenza dell’atletica continentale, nell’élite anche di quella mondiale. Un capolavoro, per certi versi un miracolo, se consideriamo da dove veniamo, ovvero un decennio di vuoto assoluto che aveva fatto temere la morte cerebrale di questa disciplina. Il presidente Stefano Mei gongola: “All’inizio del mio mandato avevo promesso un’atletica vincente e unita, è così è stato. Ormai siamo noi a guidare lo sport italiano”. Raccoglie i frutti che sono quantomeno stati seminati dal suo predecessore (e rivale) Alfio Giomi, perché non si può pensare che tutti questi talenti siano sbocciati in soli tre anni, da quando lui ha preso il comando della Fidal. Il nastro va riavvolto indietro almeno fino al 2018, quando fu nominato l’attuale direttore tecnico, Antonio La Torre, l’uomo che ha impresso una svolta alle nazionali. Ma più in generale si può dire che l’ex presidente Giomi ha avuto il merito di traghettare il movimento dalla palude, gli anni cupi delle zero medaglie iridate, in cui proprio i vertici finirono nel mirino delle istituzioni (il Coni di Malagò che oggi celebra la Federazione all’epoca voleva commissariarla), gettando le basi della rinascita che ora altri si godono. D’altra parte Mei rivendica di aver aumentato i fondi al settore tecnico. Soprattutto – cosa che gli viene riconosciuta da tutti – il n.1 attuale ha saputo portare un’aria diversa nelle nazionali, restituendo serenità a tecnici e atleti, che spesso in passato non arrivavano nelle giuste condizioni agli appuntamenti. Ed eliminando alcune confort zone che non avevano fatto il bene del movimento.

IL SEGRETO DI UNA NAZIONALE MULTIETNICA – Oggi il settore tecnico dell’Italia, costruito non più soltanto sul binomio tecnico-atleta e sul supporto dei gruppi militari (dove in passato venivano arruolati tutti i talenti migliori che però finivano spesso per “accasarsi”), finalmente funziona. C’è poi un altro elemento che sarebbe ipocrita ignorare quando si parla del boom dell’atletica italiana. Le tante medaglie odierne sono anche l’effetto di una nazionale sempre più multietnica, che se guardiamo indietro di 20, 15 o anche solo 10 anni fa non esisteva ancora. Potenze come Francia o Gran Bretagna hanno sempre potuto attingere ad un bacino di oltre due secoli di colonialismo. Oggi quel bacino – storicamente prezioso per tutti gli sport ed in particolare per una disciplina come l’atletica – cominciamo ad averlo sempre di più anche noi, e i risultati si vedono. Quelli dei vari Ali, Crippa, Dosso sono classici percorsi di immigrazione, e integrazione, a lieto fine; Jacobs, Simonelli, Furlani hanno storie familiari più particolari alle spalle ma fanno tutti parte di una nuova generazione di italiani che ha portato linfa al movimento. Ovviamente non è tutto qui, perché ci sono anche i Tamberi, Fabbri, Palmisano, ma è una componente importante che ha contribuito a dare una profondità alla nostra nazionale che non si era mai vista. Il resto l’ha fatto la competizione interna: oggi l’atletica italiana è una disciplina vincente, un contesto di successo e non depressivo come poteva essere un tempo, dove – un po’ come accaduto anche nel nuoto –, ci si migliora a vicenda e si è continuamente spronati a spingersi oltre i propri limiti.

LE OLIMPIADI COME BANCO DI PROVA – Dopo tutte queste celebrazioni, resta un’ultima considerazione che ci riporta coi piedi per terra. Nell’atletica – disciplina mondiale se ce n’è una – gli Europei hanno un valore relativo, figuriamoci nell’anno olimpico. È vero che a Roma non c’erano grandi assenze, ma quanti big stranieri hanno preso seriamente l’evento come i nostri, motivati dal gareggiare in casa? Senza dimenticare l’assenza ormai cronica della Russia, che ha liberato ulteriore spazio. Ai trionfi di questi Europei va fatta una tara: delle 24 medaglie, quelle che hanno una reale consistenza internazionale, e non solo europea, sono 7-8. Si tratta comunque di un risultato stratosferico, che non ha precedenti. Il banco di prova lo avremo fra poche settimane a Parigi: alle Olimpiadi sarà praticamente un altro sport, senza più la sicurezza di giocare in casa da favoriti, ma con una competizione altissima già dai turni preliminari. L’esame finale per capire quanto vale davvero l’atletica italiana. Ci arriveremo con i 5 ori al collo del 2021, ma con una squadra ancora più forte e completa. Bissare Tokyo sembra impossibile. O forse no.

Twitter: @lVendemiale

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