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La ‘maggioranza Ursula’ va di corsa, già pronte le prime nomine Ue. Dalla conferma di von der Leyen ad Antonio Costa: tutti i papabili

In attesa dei numeri ufficiali del prossimo Parlamento europeo, i partiti a Bruxelles si stanno già muovendo: elaborano strategie, propongono nomi e avviano trattative con i presunti alleati. L’obiettivo, al momento, è uno solo: arrivare entro luglio al voto con cui la Plenaria metterà il sigillo sulle quattro principali cariche europee. E da quanto apprende Ilfattoquotidiano.it da fonti parlamentari, l’intesa sarebbe quasi chiusa su quattro profili, due riconferme e due novità: Ursula von der Leyen, Roberta Metsola, Kaja Kallas e Antonio Costa.

Riunioni su riunioni
Mercoledì mattina, a Bruxelles era già tutto un fermento di telefonate, incontri, contatti informali per cercare di trovare subito un’intesa di massima. Sono passate poche ore dal voto europeo, ma memori di cosa accaduto appena cinque anni fa, con le trattative che si sono protratte fino alla fine di novembre, i partiti hanno imparato che più passa il tempo, più i colloqui tendono a diventare una matassa difficile da districare. Il rischio è quello di perdere per strada nomi graditi, in un gioco di rifiuti, ripicche e ostruzionismo.

Così, l’idea è quella di blindare subito le quattro principali cariche (presidente della Commissione, presidente del Consiglio, presidente del Parlamento e Alto rappresentante per la Politica Estera) per poter poi pensare alle varie nomine a scendere: commissari, vicepresidenti del Parlamento Ue e presidenti delle commissioni parlamentari. La maggioranza sulla quale si lavora è quella tra Popolari, Socialisti e liberali di Renew, la cosiddetta ‘maggioranza Ursula‘. E visto il risultato delle elezioni, il Ppe fa la parte del mazziere. “L’idea è quella di evitare scontri – spiegano a Ilfattoquotidiano.it – e presentare da subito nomi che possano essere accettati dalle controparti”. I Popolari partono da una posizione di forza, dato che hanno guadagnato una decina di seggi, mentre le altre due famiglie hanno registrato un calo, anche pesante come nel caso di Renew, e quindi non potranno avanzare pretese eccessive o far la parte dei distruttori nel tentativo di alzare il valore del proprio via libera.

Da von der Leyen a Kaja Kallas: mix tra conferme e volti nuovi
Se si parte dal Ppe, i nomi sono vecchie conoscenze che cinque anni fa hanno già ottenuto l’approvazione degli alleati e, sulla carta, non troppo complicati da far approvare. Quello per il top job europeo, ossia la Presidenza della Commissione, è di nuovo quello di Ursula von der Leyen. Fu lei, cinque anni fa, a far deragliare la nomination del compagno di partito Manfred Weber con la spinta di Emmanuel Macron, allora saldamente a capo del gruppo Renew, e di Angela Merkel. Oggi, il presidente francese è molto più debole e rischia addirittura di perdere la sua leadership in patria in favore di Renaissance di Marine Le Pen, dopo il risultato disastroso alle elezioni. Quindi, coi liberali di nuovo frammentati in diverse correnti, dai soliti macroniani (alcuni dei quali, come Renzi e Calenda, rimasti fuori dal Parlamento Ue) a Charles Michel, fino al belga Guy Verhofstadt che vuole tornare a capo del partito, è difficile pensare a una manovra d’ostruzione. E a renderla ancora più improbabile è l’offerta avanzata dai Verdi europei, pronti a sostituire Renew, di sostenere la maggioranza in cambio di posti in Commissione: “Prima non facevamo parte della maggioranza von der Leyen, ora siamo pronti a far parte di questa maggioranza perché vediamo il pericolo che possa spostarsi a destra – ha dichiarato la co-presidente del Verdi Ue, Terry Reintke – Siamo pronti per questo, siamo pronti a scendere a compromessi. Siamo politici pragmatici. Stiamo governando in diversi stati membri e questo dovrebbe essere sufficiente per costruire la fiducia”

Dichiarazioni strane se si guarda alla nuova linea von der Leyen. L’ex ministra della Difesa tedesca arrivata da outsider a guidare Palazzo Berlaymont nel nome della rivoluzione verde europea non esiste più. Oggi se si parla di programma von der Leyen ci si riferisce a un’idea di Europa che metterà un freno alle riforme green in nome della “sostenibilità economica” e che, invece, continuerà a supportare militarmente, economicamente e senza indugi l’Ucraina nella guerra contro la Russia, spingendo anche la ricerca, lo sviluppo e la produzione europea nel campo della Difesa.

L’altra conferma sulla quale ci sarebbero pochi dubbi, già data per scontata e mai messa in discussione nei mesi scorsi, è quella della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, sempre in quota Ppe. La capa della Plenaria ha accettato la responsabilità di guidare l’aula dopo la morte di David Sassoli ed è in carica da circa due anni e mezzo. Anche per questo, il suo mandato sembra destinato a terminare a metà legislatura, quando cederà il posto a un successore che, ad oggi, è difficile da individuare. L’altro motivo della chiusura anticipata è legata anche alla volontà di Metsola di candidarsi alle prossime elezioni politiche nel suo Paese, a inizio 2028. Dopo cinque anni all’Eurocamera, la politica maltese tornerebbe in patria come profilo di primo piano per guidare un governo, abile come è stata a dosare le proprie apparizioni e dichiarazioni dopo le critiche seguite alla sua nomina per alcune posizioni espresse in tema di aborto. Oggi, il nome di Metsola non viene più associato alla politica dichiaratamente anti-abortista: oggi è un nome di levatura internazionale e considerato moderato.

Passando alle novità, un nome che circola da mesi per sostituire Charles Michel alla guida del Consiglio Ue è quello del portoghese Antonio Costa. È il nome di maggior caratura che può essere espresso dalla famiglia socialista, con ancora un grande seguito in patria, dove è stato primo ministro dal 2015 al 2024, e molto rispettato anche nelle cancellerie europee. Di lui al vertice dei capi di Stato e di governo europei si parla già da un po’, soprattutto dopo la candidatura di Mark Rutte a segreterio generale della Nato. Il cammino di Costa verso Bruxelles aveva subito una battuta d’arresto in seguito allo scandalo corruzione che aveva investito il suo governo alla fine del 2023. Tra i nomi delle persone coinvolte nell’indagine era apparso anche quello di Antonio Costa, tanto da portarlo a optare per dimissioni immediate. Successivamente si è poi scoperto che le accuse non riguardavano il premier ma il ministro dell’economia in carica, Antonio Costa Silva. La sua candidatura al Consiglio è ancora più forte se si considera che il nuovo premier conservatore portoghese, Luís Montenegro, ha affermato che, se Costa lo vorrà, il governo non solo sosterrà la sua candidatura, ma farà di tutto affinché risulti vittoriosa. La risposta di Costa non nasconde che questa sia la sua reale aspirazione: “Non accetterei mai di essere candidato alla presidenza del Consiglio europeo senza il sostegno del governo del mio Paese”.

C’è poi un’altra carica di peso, soprattutto in un’era di nuovi conflitti e di timori per la sicurezza dell’Europa. È quella dell’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Ue (Pesc), fino a oggi ricoperta dal socialista spagnolo Josep Borrell. Questa volta, se confermata, si tratterebbe di una nomina che ribadisce la linea dura nei confronti della Russia. La nuova lady Pesc sarebbe la premier dell’Estonia, Kaja Kallas, in quota Renew. La politica baltica ha ovviamente una sensibilità particolare sul tema, così come la maggior parte degli altri Paesi che fanno parte dell’ex blocco sovietico e che si sentono minacciati dalla condivisione dei confini con la Federazione. Pur facendo parte della Nato, l’Estonia è da sempre considerato uno dei Paesi più a rischio nel caso in cui Vladimir Putin decidesse di allargare ulteriormente la propria influenza oltre i confini del suo Paese. Questo perché, oltre a condividere la frontiera con la Federazione, in Estonia vivono oltre 300mila persone di etnia russa, che su una popolazione di 1,3 milioni di persone significa il 25%. Non a caso Kallas ha più volte ribadito la necessità di un sostegno fermo per la causa ucraina, destinando lo 0,25% del Pil nazionale al supporto militare ed economico del Paese di Volodymyr Zelensky. Anche per questo, proprio come il presidente ucraino, è stata inserita nella lista dei ricercati dalle forze di sicurezza russe.

I nomi, quindi, ci sono e sono condivisi dalle forze che dovrebbero ricostituire la maggioranza in Europa. Ma il fattore tempo non deve essere sottovalutato: nei Socialisti si dovranno ristabilire alcune gerarchie interne che potrebbero sollevare tensioni, nei Liberali la lotta per il potere, invece, è già iniziata. Tutti fattori che mettono a rischio accordi a livello europeo. Per questo si deve fare in fretta per evitare di finire nel vortice delle bocciature e dei veti che trascinerebbe l’Europa in una pericolosa impasse.

X: @GianniRosini