Le elezioni che si sono appena concluse sono state caratterizzate da linguaggi, atteggiamenti e comportamenti non degni di una società civile e di persone che rappresentano le istituzioni. L’ultima, in ordine di tempo, è la rissa che si è scatenata nell’aula della Camera durante la discussione sull’autonomia differenziata, in cui è stato colpito a pugni da un deputato leghista un collega del Movimento 5 stelle. Purtroppo queste condotte non stupiscono più perché il livello di violenza, sessismo, volgarità nel linguaggio che ormai permea molti politici, rappresentanti di governo e la stessa presidente del Consiglio è tale che legittima anche comportamenti concretamente aggressivi.
Il linguaggio è la rappresentazione del pensiero e strumento per la sua trasmissione; le parole servono ad interagire col mondo e l’apprendimento sociale che vale per i bambini e le bambine, ma anche per gli adulti avviene anche grazie al potente strumento delle parole. Quindi il corretto modo di esprimersi è fondamentale per aiutare a crescere nuove generazioni non violente, inclusive, non sessiste, in pratica per formare una società paritaria senza prevaricazioni. La sequenza di episodi di espressioni sconvenienti, incivili, irrispettosi o sessiste, che in questi ultimi tempi hanno visto protagonisti personaggi influenti e che ricoprono ruoli e cariche istituzionali di peso sono stati innumerevoli.
Parto da quello che mi ha lasciata più sbalordita: l’uscita del Papa di qualche settimana fa, durante l’Assemblea generale della CEI, a proposito dei molti omosessuali nei seminari, per cui ha usato il termine “frociaggine”. Bergoglio, qualche giorno dopo, sembra che abbia usato un’espressione ancora più irritante, questa volta rivolta alle donne. Affermando che bisogna evitare il pettegolezzo, avrebbe detto, “il chiacchiericcio è una roba da donne”. Lo scrive il sito “Silere non possum”. Ma non pago, il Papa due settimane dopo sarebbe tornato a riutilizzare il termine dispregiativo “frociaggine”, durante un incontro a porte chiuse con i sacerdoti romani all’Università Salesiana come riferisce l’agenzia di stampa Ansa.
Le scuse fornite dal Papa, qualche giorno dopo il primo episodio, non paiono così autentiche e evidentemente confermano il detto di Metastasio “Vóce del sén fuggita Pòi richiamàr non vale” perché, la ripetizione della stessa frase a distanza di pochi giorni, significa una sola cosa: che quel linguaggio riflette perfettamente il pensiero del Pontefice sull’omosessualità.
Perché non si può derubricare a frase infelice quella del Papa? Perché noi che da anni cerchiamo in tutti i modi di smontare modelli culturali arcaici che anche attraverso la parola possono ferire ed essere discriminanti, sappiamo quanto importanti siano le parole, ancor più se dette da un Papa. Quante persone omosessuali si sono sentite ferite? Quanti ragazzi che sono bullizzati e presi in giro nelle scuole non reggono questo peso e a volte arrivano a fare gesti estremi? Usare parole forti e discriminanti non aiuta certo la società a progredire. Se lo stesso linguaggio lo usa Vannacci, giustamente diciamo che è un linguaggio omofobo.
Anche sull’aborto, e pur nel rispetto dei principi della Chiesa che lo condannano, è inaccettabile quello che Bergoglio disse tempo fa per condannarlo “C’è lo scarto dei bambini che non vogliamo ricevere, con quella legge dell’aborto che li manda al mittente e li uccide direttamente. E oggi questo è diventato un modo normale, una abitudine che è bruttissima, è proprio un omicidio” C’è modo e modo per affermare un legittimo pensiero della Chiesa, ricordando sempre che c’è una legge del nostro Stato laico che tutela chi abortisce e che ha depenalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza.
E che dire della Presidente del Consiglio che, in un’iniziativa istituzionale, saluta De Luca, presidente della Regione Campania (altro bel campione di frasi sessiste e volgari), con un “Presidente De Luca, sono quella stronza della Meloni, come sta?“, per rimarcare una espressione dello stesso De Luca, in un fuorionda di febbraio “Lavora, stronza!”.
Per non parlare dei toni aggressivi e prevaricatori usati da alcuni partiti in campagna elettorale con slogan e linguaggi che non si userebbero nemmeno fra gli scaricatori di porto (con tutto il rispetto per questa categoria di lavoratori).
Campione in questo senso è la Lega di Salvini che ha usato una serie di cartelloni elettorali, dove il leitmotiv ricorrente è sbeffeggiare l’Europa, la stessa per la quale ci si candida a governare. Una campagna multi soggetto ma con uno stesso claim “Cambiamo l’Europa, prima che lei cambi noi” con immagini ogni volta diverse, ma sempre irridenti e volgari nei confronti di singole persone o di gruppi: Ursula von der Leyen in divisa militare, un uomo che mangia un insetto, o quella decisamente discriminante di una donna mussulmana che indossa un hijab.
O le immagini ancora più discriminatorie pubblicate da una candidata della Lega contro le sue avversarie politiche: Annunziata, Salis e Schlein al limite del bodyshaming. L’aspetto fisico, in un Paese civile, non dovrebbe certo essere un parametro per scegliere chi ci rappresenterà nelle Istituzioni e nulla ha a che fare con il confronto politico. E per non farci mancare nulla non poteva mancare il solito “Stai zitta” urlato dal deputato di Fratelli d’Italia Deidda contro la capogruppo del Partito Democratico Chiara Braga durante il dibattito molto acceso sull’autonomia differenziata, a cui la deputata ha reagito con grande prontezza.
Ci viene in mente Michele Murgia e il suo libro Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più un’analisi puntuale e realista di come la violenza e la discriminazione nei confronti delle donne passino anche attraverso il linguaggio. Purtroppo non solo queste frasi e questi atteggiamenti violenti, sessisti e volgari li sentiamo ancora, ma li sentiamo da coloro che dovrebbero rappresentarci al meglio nelle istituzioni.