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Elezioni in Iran, ufficializzati i sei candidati. I moderati sperano in Pezeshkian: contro la repressione e dialogante con l’Occidente

Mancano ormai due settimane alle elezioni Presidenziali in Iran del 28 giugno. Saranno le 14esime dalla rivoluzione khomeinista del 1979, ma saranno soprattutto elezioni anticipate come quelle dell’ottobre 1981: allora in seguito all’assassinio del presidente Mohammad Ali-Rajaei, oggi per la morte improvvisa del presidente Ebrahim Raisi in un incidente in elicottero, avvenuto lo scorso 19 maggio nel nordovest del Paese.

Degli 80 individui che hanno presentato lo scorso 4 giugno la loro candidatura, il Consiglio dei Guardiani – il corpo di 12 membri guidato dal 97enne Ahmad Jannati che filtra l’ammissione dei candidati in base a una serie di criteri – ne ha respinti 74, ammettendone quindi 6. Diverse, nonostante il relativamente basso numero di richiedenti, le bocciature di un certo rilievo, tra cui spiccano i nomi dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, dell’ex speaker del Parlamento Ali Larijani e dell’ex vicepresidente del governo Rouhani, cioè Eshaq Jahangiri. Nessuna donna è stata ammessa alla corsa. Se al primo turno nessun candidato dovesse raggiungere il 50% dei voti, un secondo turno sarebbe già previsto per il 5 luglio.

Cinque dei sei candidati ammessi sono di affiliazione principalista, sebbene riconducibili a diverse correnti. La novità, quindi, è rappresentata dal sesto, Masoud Pezeshkian, l’unico di orientamento riformista. Un nome che lascia forse aperta una tenue prospettiva di metamorfosi interna, se è vero che i riformisti vengono da un decennio abbondante di netto declino e che alle ultime elezioni nessuno di loro era stato ammesso alla tornata elettorale.

MASOUD PEZESHKIAN – Cardiochirurgo, parlamentare di secondo piano da venti anni, ex ministro della Salute nel secondo governo Khatami (2001-2005), il 70enne Pezeshkian è nativo dell’Azerbaijan occidentale. In Iran è divenuto rapidamente popolare un video che lo ritrae mentre si reca a registrare la sua candidatura tenendo per mano una dei tre figli che gli sono rimasti: una è deceduta in un incidente d’auto insieme alla moglie, ma lui non si è mai risposato e ha cresciuto le piccole da single. Proprio il fatto che tutti e tre i suoi figli oggi risiedano in Iran, a differenza di molti figli di politici che vanno spesso a studiare all’estero, sembra essere uno dei motivi dell’accettazione inattesa della sua candidatura.

Pezeshkian, infatti, negli ultimi anni non ha risparmiato critiche anche esplicite al sistema di potere in Iran, in particolare in seguito alle proteste conseguenti alla morte di Mahsa Amini nel settembre 2022. Molto nota una sua intervista alla tv di Stato Irinn nella quale a proposito delle repressioni disse che “il comportamento del regime sta spingendo i giovani ad odiare l’Islam. È necessario ridiscutere i nostri metodi, non si può imporre la fede con la forza, è scientificamente impossibile”.

Altrettanto note sono le sue critiche al ministero della Salute durante la pandemia di Covid-19, accusato di fornire numeri “non reali”. Ancor più significativo, sebbene ormai relegato a un passato remoto, il discorso che Pezeshkian tenne di fronte al Parlamento iraniano – gelandolo per alcuni minuti – nel 2009, criticando le repressioni delle proteste per la contestata rielezione di Ahmadinejad e nel quale citò direttamente Ali Ibn Abi Taleb, cugino, fratellastro e genero del Profeta e primo imam sciita: “Non uccidete le persone come animali selvatici e, quando potete, evitate di intervenire con durezza, non colpiteli, non batteteli”, in chiaro riferimento alla violenza esercitata al tempo dalle Forze di sicurezza.

Pezeshkian è madrelingua azero e ne promuove l’insegnamento nelle scuole. Ed è anche membro della società di amicizia turco-iraniana, parlando fluentemente anche il turco. Ha ricevuto l’endorsement di una serie di figure note nel campo riformista, la più celebre delle quali è sicuramente quella dell’ex ministro degli Esteri, Javad Zarif, che secondo alcuni tornerebbe in carica in caso di una sua elezione.

Le sue chances di vittoria rimangono relativamente basse e dipendono da due fattori primari: la eventuale frammentazione del fronte principalista che potrebbe disperderne i voti, il grado di disincanto degli elettori ed ex elettori riformisti che nelle ultime elezioni si sono perlopiù astenuti e che Pezeshkian conta di riportare alle urne. Proprio in questo ormai disilluso segmento, tuttavia, c’è chi ritiene in realtà che l’ammissione della candidatura di Pezeshkian sia una foglia di fico del regime, funzionale alla sola speranza di far aumentare l’affluenza al voto che nelle ultime elezioni si è attestata attorno al 40%, molto basso per gli standard della Repubblica Islamica.

MOSTAFA POURMOHAMMADI – Il candidato con meno possibilità di essere eletto è anche l’unico che ricopre il ruolo di chierico. Pourmohammadi, 64 anni, è meno conosciuto dell’ex presidente Raisi ma con lui condivide le origini: anch’egli è stato un membro dei famigerati “comitati della morte” alla fine degli Anni 80. Nominato a soli 20 anni procuratore generale della città di Masjed Soliman, ha deciso e fatto eseguire decine di condanne a morte per ex membri del Mko, una formazione che prese parte alla rivoluzione del 1979 ma che poi si rivoltò contro la Repubblica Islamica. Ha ricoperto diversi ruoli anche ministeriali, in diversi governi, tra cui ministro della Giustizia sotto Hassan Rouhani e ministro dell’Interno sotto Ahmadinejad, col quale ebbe in seguito diversi dissidi.

AMIR HOSSEIN GAZIZADEH HASHEMI – A lungo portavoce del Fronte per la stabilità della rivoluzione islamica, uno dei “partiti” della destra più oltranzista in Iran, parlamentare principalista dal 2008, chirurgo otorinolaringoiatra di formazione, Ghazizadeh, 53 anni, è oggi il direttore della Fondazione dei Martiri e dei Veterani di guerra, nonché tecnicamente ancora uno dei vicepresidenti del governo di Ebrahim Raisi.

ALIREZA ZAKANI – 58 anni, orientamento principalista, ex capo del Comitato speciale che era stato istituito per investigare le criticità dell’accordo sul nucleare raggiunto dal governo Rouhani, Zakani dal 2023 è sindaco di Teheran. È proprietario di un paio di giornali e negli ultimi giorni ha attirato alcune critiche per aver messo a capo della sua campagna elettorale Lotfollah Forouzandeh, suo vicesindaco per gli Affari Finanziari. In molti temono che ciò possa implicare un utilizzo indebito dei fondi pubblici destinati alla capitale. Zakani è noto per alcuni scandali legati al nepotismo nei confronti di sua figlia e suo figlio, per i suoi toni aggressivi nei confronti dei riformisti e per alcune discusse iniziative da sindaco, come ad esempio un irrigidimento dei controlli sul velo nei trasporti pubblici e la costruzione di moschee all’interno di alcuni parchi cittadini molto frequentati dalla popolazione.

SAEED JALILI – 59 anni, ex veterano della guerra Iran-Iraq (nella quale perse la parte inferiore della gamba destra), attuale membro del Consiglio per il Discernimento, professore di Scienze Politiche e autore di un noto libro, La politica estera del Profeta, che lo ha reso uno dei 500 intellettuali più noti dell’intero mondo islamico, ex Capo del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale ed ex caponegoziatore sul nucleare durante il mandato di Ahmadinejad, Jalili è considerato uno dei due favoriti, nonché uno dei politici più oltranzisti del Paese, a lungo tra i principali oppositori dell’accordo sul nucleare e di qualunque riavvicinamento all’Occidente. Ferventemente impegnato nella promozione della Repubblica Islamica, nel cui impianto sembra credere in modo genuino, nel 2021 si ritirò per favorire l’elezione di Raisi, nel cui governo poi ha giocato un ruolo centrale, sebbene in relativa ombra, tanto che il quotidiano Etemad un anno fa pubblicò un articolo dal titolo L’impero di Jalili nel governo del presidente.

MOHAMMAD BAGHER QALIBAF – 63 anni, ex pilota, ex comandante delle Forze aeree dell’IRGC, ex capo della Polizia, ex sindaco di Teheran, attuale speaker del Parlamento. Qalibaf è abituato alle sconfitte elettorali ma mai come in questa elezione risulta, per diverse ragioni, uno dei favoriti. Si tratta comunque di un personaggio sui generis all’interno della Repubblica islamica, motivo per cui il citato Jalili – più autorevole ma anche meno incline al contatto con l’elettorato – potrebbe avere maggiori chance. Ad esempio Qalibaf è noto per essersi presentato alle elezioni del 2005 (poi vinte da Ahmadinejad) definendosi un “Reza Shah islamico”, in riferimento al penultimo Shah, Reza Pahlevi, autocrate che ha governato il Paese dal 1925 al 1941.

Qalibaf da qualche tempo cerca infatti di rivolgersi anche a un particolare segmento della Repubblica Islamica, cioè quello dei laici nazionalisti, tendenzialmente di destra. Un elettorato che osteggia o sostiene il sistema basandosi quasi esclusivamente su criteri nazionalistici ed in parte etnici, con l’esaltazione del persianesimo.

Secondo un diplomatico europeo, citato da IranWire, Qaibaf attraverso alcuni suoi consiglieri ha cercato nei giorni scorsi di entrare in contatto con diplomatici occidentali, presentandosi e auto promuovendosi non solo come “il nuovo uomo forte” ma anche come l’unico, in virtù delle sue connessioni nel regime, in grado di mantenere la futura pace sociale, mediando i conflitti interni tra fazioni che si scateneranno alla morte della Guida Suprema Ali Khamenei, oggi 85enne. Sempre secondo questo diplomatico, lo staff di Qalibaf avrebbe anche offerto garanzie circa un riavvicinamento all’Occidente e un processo di “pulizia interna” di elementi “radicali”.

Quel che si può dire con relativa certezza, è che Qalibaf non sottovaluta Pezeshkian, l’unico candidato riformista. È probabilmente per questo che nei giorni scorsi ha nominato Ali Nikzad a capo della sua campagna elettorale. A Nikzad, un vero “trasformista”, è stato assegnato questo ruolo per due ragioni essenziali: il suo radicamento negli ambienti rurali e particolarmente religiosi, che Qalibaf intende attirare avendo sempre avuto più seguito nei contesti urbani, e la sua influenza, nonché appartenenza, alla minoranza azera, che forse proprio Qalibaf teme possa votare in buona parte per Pezeshkian.