Il Dipartimento di Stato americano ha accolto con favore la firma da parte della Turchia di una lettera ufficiale che certifica la vendita per un pacchetto militare stimato in 23 miliardi di dollari che include 40 nuovi aerei da caccia F-16 Block 70, definendolo “un passo importante” nei colloqui tra i due. “Gli Stati Uniti accolgono con favore la firma da parte di Ankara di una lettera di offerta e accettazione per l’acquisto di F-16”, ha detto al sito Al-Monitor un portavoce del Dipartimento di Stato. “Questa vendita è un investimento nell’interoperabilità della Nato e sosterrà gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, della Turchia e dell’Alleanza”. Il Ministero della Difesa turco aveva annunciato a maggio la conclusione delle sue deliberazioni su un pacchetto di vendita da 23 miliardi di dollari che comprende 40 aerei da combattimento F-16 e circa 80 kit di modernizzazione per la flotta della Turchia. “Portare a termine questa particolare vendita ha richiesto del tempo”, ha detto ai giornalisti il ​​portavoce del Dipartimento di Stato. Matthew Miller.

I commenti del Dipartimento di Stato indicano che le due parti hanno concordato i termini dell’acquisto. Assieme alla vendita, la Turchia sta inoltre ancora cercando di ottenere il via libera per la produzione congiunta di alcune parti degli F-16 e il rimborso dei circa 1,4 miliardi di dollari stanziati per gli aerei da combattimento F-35 prima che venissero rimossi dal programma di aerei da caccia stealth di nuova generazione nel 2020, in seguito alla decisione del presidente Erdogan di acquistare una partita di batterie anti missile S-400 dalla Russia.

Gli Stati Uniti “sono orgogliosi di annunciare oggi un importante passo avanti nell’acquisto [da parte della Turchia] di nuovi aerei da caccia F-16 Block 70”, ha reso noto mercoledì l’Ufficio per gli affari politico-militari del Dipartimento di Stato. “Sono l’ultimo esempio dell’impegno duraturo degli Stati Uniti verso una partnership di sicurezza con la Turchia”. Ma una partnership di sicurezza stipulata con un autocrate opportunista e spietato che, pur facendo parte dell’Alleanza Atlantica, gioca da sempre su più tavoli – compresi quelli dei nemici più potenti e longevi degli Usa, come Russia e Cina – è davvero un modo per rendere più forte e affidabile la Nato?

Un’altra incongruenza – per usare un eufemismo – in questo senso è emersa proprio nei giorni scorsi quando Erdogan ha denunciato pubblicamente che Israele intende “conquistare la Turchia”. Nemmeno i peggiori nemici dello Stato ebraico si sono spinti fino al punto da credere a una simile bufala non essendo, innanzitutto, nell’interesse di Tel Aviv fare una guerra di invasione di un territorio gigantesco e armato fino ai denti che garantisce proprio alla Nato una copertura militare in termini di numero di soldati,seconda sola a quella degli Stati Uniti. Anche l’invito spedito al Sultano dalla prima ministra Giorgia Meloni per partecipare al G-7 in Puglia è la dimostrazione che Erdogan sia ancora più di prima un “dittatore con il quale bisogna collaborare” (Draghi dixit) .

Pur non facendo parte dei paesi del G7, la Turchia è stata invitata da Meloni a partecipare nonostante il fatto che Erdogan abbia invaso e continui a controllare, come se fosse una provincia turca, una parte del territorio sovrano della Siria – il cantone di Afrin e parte della regione di Idlib – e stia ancora bombardando parte del Rojava siriano e l’Iraq nord -occidentale, a maggioranza curda. Il pretesto sbandierato dal Sultano è di annichilire il Pkk (i cui guerriglieri sono in buona parte riparati nel Rojava e sulle montagne irachene di Kandil e da allora collaborano con le milizie curdo-arabe YPG e SDF). Ma la verità è che Erdogan vorrebbe prendersi anche Aleppo, tutto il Rojava compresa Kobane e la regione di Rakka, ricca di petrolio di elevata qualità e gas. La Turchia, va sottolineato, non possiede nè petrolio nè gas.

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