“Da quattro anni stiamo vivendo un incubo. Abbiamo perso stipendi e tredicesime pur continuando a garantire il servizio di assistenza senza mai fermarci. Dall’1 luglio saremo tutti senza lavoro: una vera bomba sociale per l’intera Calabria“. Fabio La Ganga Vasta è uno degli oltre 1000 dipendenti della Abramo Customer Care, dal 2022 in amministrazione straordinaria dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza e il fallimento dei tentativi di vendita avviati nel 2021. A fine giugno scade la proroga della commessa per i servizi di customer care per la clientela business di Tim, ultimo committente rimasto, e non ci sono notizie su un possibile rinnovo. Giovedì, al ministero delle Imprese, è stata presentata una soluzione non solo parziale per numero di lavoratori coinvolti ma pure pesantemente peggiorativa sul fronte dei diritti e dei salari: la newco disposta ad acquisire il ramo d’azienda che ha in pancia la commessa imporrebbe a tutti un part-time di 4 ore e farebbe tabula rasa degli scatti di anzianità. I sindacati l’hanno rispedita al mittente e scriveranno al ministro Adolfo Urso chiedendo la convocazione di un tavolo di crisi ad hoc. A cui dovrebbe essere chiamata anche Tim, di cui come è noto la Cassa depositi e prestiti ha il 9,8%.

In Calabria, dove si concentra la quasi totalità degli addetti (70 sono nella sede siciliana di Palermo), la tensione è alta. Giovedì scorso un centinaio di lavoratori ha manifestato davanti alla sede Tim di Catanzaro, insieme a delegazioni arrivate da Crotone e Montalto Uffugo in provincia di Cosenza, altre sedi di Abramo. Prima delle Europee i 200 operativi a Crotone hanno spedito al Prefetto le loro tessere elettorali in segno di protesta contro il silenzio sulla vicenda. “Chi non ha a cuore il futuro di ogni cittadino italiano non merita il nostro voto”, hanno scritto. “Molti di noi sono monoreddito e hanno famiglia e figli”, spiega La Ganga Vasta al fattoquotidiano.it. “E da luglio la prospettiva che abbiamo è quella di finire in cig a zero ore“. Vorrebbe dire veder calare ulteriormente redditi già bassi: “La maggior parte è in part time al 50%, cioè lavora 4 ore al giorno, prendendo in media 700-750 euro al mese. Chi è in part time al 75% (6 ore giornaliere) arriva a 1000, mentre solo lo staff fa 8 ore e con gli straordinari arriva a 1200-1400 euro”. Soldi che già oggi arrivano in parte dall’Inps, visto che tutti sono in cassa per alcuni giorni a settimana.

A fine maggio il ministero ha autorizzato la cessione del ramo d’azienda a cui fa capo il contratto Tim, con 104 addetti a tempo indeterminato e 125 a progetto, e le partecipazioni nelle controllate Mics e Teledico a una nuova società partecipata al 30% dalla società di consulenza romana Enosi Holding e al 70% dalla milanese Steel Telecom. Solo in caso di proroga della commessa business di Tim verrebbero acquisiti tutti i 347 lavoratori che ci lavorano. Secondo i commissari Federica Trovato, Silvia Bocci e Tiziano Onesti – il cui incarico scade l’8 agosto – è una buona offerta perché la newco è “dotata di adeguate risorse finanziarie e competenza industriale per seguire un programma di sviluppo tecnologico e commerciale, oltreché di implementazione e razionalizzazione organizzativa”, e potrebbe espandere il portafoglio clienti ribaltando l’attuale situazione di “mancanza di prospettive di recupero dell’impresa senza interventi di tipo industriale”. Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil e Ugl telecomunicazioni, convocate il 13 giugno al Mimit, hanno espresso molti dubbi sulla tempistica, la definizione del perimetro dei lavoratori coinvolti – come verrebbero scelti? – e l’assenza all’incontro di Tim. Che non pare intenzionata ad applicare la clausola sociale grazie alla quale altri 3.700 lavoratori di Abramo sono stati messi in sicurezza facendoli assumere dalle società subentrate negli appalti alle stesse condizioni contrattuali.

“Se il ministero e i commissari straordinari ritengono sia la soluzione si sbagliano di grosso”, commenta Daniele Carchidi della segreteria nazionale Slc Cgil (area telecomunicazioni). “È parziale, visto che lascia senza risposte oltre 700 lavoratrici e lavoratori, e priva di respiro industriale futuro per i pochi lavoratori interessati alla proposta vincolante di acquisizione. Tra le altre cose la proposta di assumere tutti al 50% del profilo orario contrattuale, azzerando gli scatti di anzianità maturati, è irricevibile: cancella la storia di 20 anni di conquiste sindacali sia in termini di diritti che di salario. La soluzione va cercata nella normativa vigente in materia di cambi di appalto: la clausola sociale, strumento di dignità conquistato dopo anni di lotte sindacali”. Mirko Ragusa, rsu Slc Cgil della sede di Montalto Uffugo, aggiunge un altro tassello: “A fine marzo, al tavolo di confronto sulla crisi dei call center con i ministri Urso e Calderone e il presidente della Regione Roberto Occhiuto, Tim aveva assicurato che avrebbe ripristinato volumi di lavoro che consentissero di azzerare la cassa fino alla realizzazione del piano lanciato dalla Regione, stando al quale i lavoratori sarebbero stati impiegati in un progetto di digitalizzazione della pa. Che fine hanno fatto quelle promesse?”.

Già oggi pomeriggio partirà la richiesta ufficiale al Mimit di convocare urgentemente un tavolo di crisi sulla Abramo, coinvolgendo le Regioni Calabria e Sicilia ma soprattutto il committente Tim.

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