Politica

Matteotti non fu soltanto il deputato ucciso dai fascisti, ma anche un grande precursore

di Michele Canalini

L’anniversario del delitto Matteotti non è solo l’occasione per ricordare l’uccisione del deputato socialista a opera di sicari fascisti che volevano eliminare uno scomodo oppositore di Mussolini; oppure per chiederci chi sia stato quel politico a cui sono intestate più di tremila piazze in tutta Italia.

L’anniversario è anche l’occasione per non appiattire la narrazione della figura di Matteotti al solo epilogo delittuoso ma per raccontarne la storia di uomo e studioso che forse non tutti conoscono.

Le competenze di tecnico parlamentare di Matteotti vennero già evidenziate da illustri contemporanei, come Camillo Olivetti, Filippo Turati, Piero Gobetti, solo per citarne alcuni, che non lesinarono attestati di stima a quello che trasversalmente consideravano un “geniale cultore degli studi finanziari”.

Ma Giacomo Matteotti, oltre a essere stato un deputato intento a consultare con rigore le carte degli archivi ed essersi distinto come uno strenuo antagonista al fascismo, dev’essere ricordato come un uomo che si ritrovò erede di una famiglia di ricchi proprietari terrieri del Polesine. Questa eredità, però, non lo distolse dall’obiettivo di aiutare gli ultimi della società, aderendo con fiducia incrollabile alla causa socialista.

Matteotti si era fatto notare anche nei consessi internazionali. Preparandosi all’incontro di Amburgo del 1923 con gli altri leader socialisti, Matteotti redasse un piano sulla ricostruzione europea nel dopoguerra, indicando nella revisione delle inique condizioni imposte alla Germania l’unica strada per un orizzonte di pace e di collaborazione tra i popoli: sono gli anni in cui, con straordinaria preveggenza, Matteotti incominciò a promuovere l’idea degli “Stati Uniti d’Europa”.

In un programma televisivo di questi giorni, il noto storico Alessandro Barbero ha citato uno degli ultimi articoli scritto da Matteotti, prima di essere ammazzato: “I giovani si vergognano per l’obbrobrio e lo schifo di questa società che si avvale ancora del bastone come strumento di propaganda e di diffusione delle proprie idee”. E il bastone citato da Matteotti non era solo quello delle “squadracce” mussoliniane ma anche quello più datato di Radetzky, a evidenziare l’abitudine in Italia al ricorso sistematico alla violenza, sempre per il raggiungimento dei posti di potere, come ha giustamente sottolineato Barbero.

In più, Matteotti era stato anche un marito devoto, il cui legame con la moglie Velia Titta traspare in modo toccante dal fitto epistolario che ci è rimasto come traccia irrinunciabile di una testimonianza umana, e non solo politica. Scrive Velia nel 1917 al marito, costretto ad arruolarsi e spedito in Sicilia, per mettere da parte in questo modo un pericoloso sovversivo che credeva all’ideale della pace: “Sento adesso il rimpianto delle tue parole di stasera che questo è il periodo più bello che ci viene rubato. Però non mi turba: solo ne nasce il desiderio lontano di ricominciare quella vita così grande e così buona”, come riportano Marzio Breda e Stefano Caretti nel loro recente Il nemico di Mussolini, edito da Solferino.

Quella stessa Velia a cui Mussolini, qualche giorno dopo il rapimento, mentì di persona augurandosi con malvagia ipocrisia di poterle restituire il marito in vita, mentre il capo del fascismo sapeva benissimo sia dell’uccisione sia del luogo di sepoltura alla Quartarella dove il deputato era stato malamente seppellito dai sicari. Un atto di spergiuro che Mussolini replicò, di fronte alla donna, dopo averlo già fatto qualche ora prima di fronte all’intero parlamento che lo ascoltava attonito, quando il capo delle camicie nere aveva dichiarato di non sapere nulla di quel sequestro, sperando però che i responsabili venissero catturati e assicurati alla giustizia nel più breve tempo possibile.

Un atto di spergiuro che, a distanza di cent’anni, non smette mai di indignarci perché, appunto, spezzò per sempre quel “desiderio lontano di ricominciare quella vita così grande e così buona”.

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