“Oggi ho dato mandato al mio avvocato di querelare per diffamazione Pappalardo. Con i soldi della querela farò donazione all’Arma a suo nome“. Lo annunciò su Twitter il 19 luglio 2018 David Parenzo postando lo screenshot di un post pubblicato su Facebook dall’ex generale Antonio Pappalardo che lo accusava di ricevere “250mila euro dal Sole 24 Ore e da Confindustria” e poneva dubbi sul fatto che i suoi compensi venissero denunciati al fisco . Pappalardo ha sempre negato che quel profilo Facebook fosse suo, ma la giudice del Tribunale di Roma non gli ha creduto: a distanza di quasi 6 anni il leader del fu Movimento Gilet Arancioni, ora battezzati Patrioti d’Italia innanzitutto, è stato condannato in primo grado al pagamento di 5.600 euro per diffamazione aggravata.

All’indomani della sentenza di condanna, inevitabile la richiesta di chiarimenti da parte di uno dei conduttori de La Zanzara (Radio24), Giuseppe Cruciani, all’ex generale, che è stato contattato telefonicamente più volte dalla redazione ma senza successo. Pappalardo, che a sua volta ha annunciato una diretta Facebook a riguardo poi annullata, ha concesso invece una rocambolesca intervista telefonica a Radio Democratica di cui la trasmissione di Radio24 ha mandato in onda uno stralcio nel corso della puntata di ieri.

Incalzato dall’intervistatore, l’ex generale esprime il suo dissenso nei confronti della giudice, che nel corso dell’udienza a causa delle intemperanze dell’imputato ha minacciato di far intervenire i carabinieri. E lancia pesanti accuse contro Cruciani, il quale, nel corso della trasmissione, ha smentito tutte le affermazioni dell’ex militare: “La giudice non mi ha fatto parlare violando i diritti dell’imputato. In aula ho parlato di ricatto da parte di Cruciani, che mi ha detto: ‘Se tu vuoi che ritiriamo la querela, devi partecipare alla Zanzara’. Cruciani è un ricattatore, ho le sue parole scritte sul mio cellulare. Se vuole, le mando la fotocopia”.

E aggiunge: “Io durante l’udienza sono andato dalla giudice per farle vedere la partitura della mia opera musicale Vita nova (dedicata a Madre Teresa di Calcutta, ndr), 350 pagine, ma la giudice l’ha rifiutata dicendo che non le interessava. Come non ti interessa? Io le sto facendo vedere che io sono un vero compositore. Non voleva farmi parlare, né farmi spiegare che Cruciani è un ricattatore”.
“Ma uno che si presenta davanti a un giudice mostrando uno spartito è un po’ da manicomio. Ma che gliene frega a un giudice”, commenta l’intervistatore.
“Ma lei è un giornalista? – tuona l’ex generale – Non contano un cazzo le mie opere? Allora chiederò un milione di euro di danni, io sono un compositore riconosciuto in tutto il mondo. E invece Parenzo mi ha trattato come un pezzo di merda, mentre io sono un grande compositore”.

L’ex leader dei Forconi punta il dito poi contro Parenzo e giornalisti, rei di averlo definito “un golpista”: “Cazzo, svegliatevi. Non sono vergognose le cose che sono state dette su di me? Alla fine a me l’hanno messa in quel posto, invece al signor Parenzo, nonostante le mie decine di querele, non fanno un cazzo. E allora c’è qualcosa che non va, non è possibile inventarsi processi contro persone solo perché sono contro il sistema e contro il regime“.
Pappalardo accusa “la massoneria collegata alla mafia”, scomoda le stragi di Cosa Nostra del ’92 e del ’93, afferma che fu fatto dimettere come sottosegretario alle Finanze del governo Ciampi (il suo mandato durò 23 giorni nel 1993) perché avrebbe certamente scoperto la trattativa Stato-mafia.
“Ma cosa c’entra?”, chiede il suo interlocutore.

E la reazione di Pappalardo è irrefrenabile: “Oh, caro amico, o lei capisce che è stato fatto un processo unicamente per tapparmi la bocca oppure lei mi sta rompendo solo le palle. Invece di fare i giornalisti del cazzo, andate a verificare cosa è successo nel ’93”.
“Ma è lei che ha rotto il cazzo, persino in tribunale”, ribatte l’intervistatore.
L’ex generale non la prende bene e dopo assortiti anatemi, riaggancia il telefono.

Verrà nuovamente richiamato e ancora una volta l’ex militare reagisce in modo furibondo: “Guardi che se lei continua, la denuncio per “stakking””.
“Si dice “stalking””, ribatte l’autore della telefonata.
“Stalking, mobbing – risponde Pappalardo – Vabbè, faccia la precisazione del cazzo”.
Poi chiede aiuto ai suoi collaboratori per registrare la voce “di questo signorino”, naturalmente annunciando una querela. Prontamente interviene una donna dall’accento straniero che urla in modo veemente contro l’intervistatore per poi interrompere la conversazione telefonica.

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