Sarà stato contento il Gaucho Toffoli, bontà sua, a vedere quella schifezza di rigore calciato in quel modo: qualcosa degno di sostituire il suo, battuto pochi mesi prima contro il Foggia, al primo posto nella classifica dei peggiori rigori di sempre. Solo che il Gaucho resta il Gaucho, quella che calcia il rigore il 17 giugno del 1994 fa altro nella vita rispetto a tirare rigori e per la verità lo fa pure discretamente bene: si chiama Diana Ross. E in occasione di quel penalty a Chicago l’atmosfera è decisamente americana: si apre il mondiale di calcio del ’94, in una nazione poco interessata al pallone, che ha inaugurato la prima serie professionista della sua storia solo un anno prima e che organizza una cerimonia piena di stelle, strisce e all’insegna del troppo.
Persino Bruno Pizzul, al Soldier Field, vedendo quel kitschissimo sfarzo commenta: “Ricorderete la cerimonia inaugurale di quattro anni fa allo stadio San Siro di Milano, molto più sobria, più elegante. Qui hanno voluto fare le cose diciamo così… un po’ più in grande, ottima comunque la colonna musicale, buone le coreografie”, mentre centinaia di omini in tutina gialla oro aderentissima che gli copre pure la testa si arrampicano sullo scheletro di una Coppa del Mondo gigante. Un’immagine comunque meno appariscente della cravatta indossata dal presidente Bill Clinton per l’occasione.
Ma va accolto il pallone, poche settimane prima definito “sport da asini” ma che in fondo, come scrive il Chicago Tribune, “se viene seguito da due miliardi di persone non possiamo dire che abbiano torto tutte assieme”. Logica americana, ci sta. In campo c’è Oprah Winfrey che presenta, ci sono le majorettes, i palloncini, altri omini con altri costumi a comporre una gigantesca aquila in mezzo al campo. In cielo ci sono i “top gun” e altrove negli stessi istanti O.J. Simpson è in fuga sulla sua Ford Bronco.
Diana Ross in quel momento è l’artista musicale di maggior successo nel mondo. E c’è lei sul terreno del Soldier Field di Chicago per cantare, ovviamente, e per dare ufficialmente il via con la voce e in minima parte anche con i piedi al mondiale di Usa ’94. Una cerimonia provata incessantemente per due mesi a porte chiuse: non si può sbagliare nulla agli occhi del mondo, che l’America è sempre l’America. Con Clinton portato in campo in elicottero, lo shuttle aerospaziale che porta sullo stadio la coppa “da quello spazio che non conosce confini e odio fra gli uomini” (ovviamente solo in video) , l’inno nazionale cantato dalla splendida voce di Richard Marx e ovviamente Diana Ross.
Diana Ross su un ascensore invisibile scende in campo, canta, e poi intonando “I’m coming out” in un meraviglioso tailleur rosso con top bianco sotto deve percorrere tutto il terreno di gioco prestato dal football al soccer, arrivare in area di rigore e calciare un penalty semplicemente in porta col portiere ben lieto di scansarsi per dare inizio a una nuova coreografia. Diana canta meravigliosamente, tra le majorettes che le volteggiano attorno, prova anche qualche finta studiata magari dai campioni che di lì a poco si esibiranno, e poi prende una ciccata pazzesca e quasi inciampa nel pallone, che finisce fuori. Ma figuriamoci, è la terra dello show must go on e la coreografia viene messa in scena lo stesso: come se avesse calciato una bomba alla Koeman (in quel momento Roberto Carlos è un buon terzino del Palmeiras che il ct del Brasile ha preferito lasciare a casa) la traversa si spacca in due, la porta si apre e Diana può correre sul palco, cantare tra i ragazzini delle scuole calcio locali che palleggiano, e neanche troppo male (salvo un biondino che si fa rubare palla dalla stessa Ross, le cui abilità calcistiche sono appena state illustrate).
La star termina la sua esibizione, i palloncini volano in cielo, majorettes, tutine e ragazzini lasciano il campo alla Germania campione in carica e alla Bolivia che mancava dalla competizione dal 1950: vinceranno i tedeschi, con gol di Klinsmann contro i sudamericani in dieci per l’espulsione del loro asso, “El diablo” Etcheverry. Un mondiale partito con un rigore sbagliato: nessuno, in quel momento, può immaginare che si chiuderà allo stesso modo.