La geotermia è una grande risorsa, ma non sempre riesce a produrre energia “pulita”. Due nuove tecniche sembrano però aprire nuove prospettive: una “prima mondiale” spagnola e un impianto in procinto di partire in Germania.
Partiamo dalla Spagna. A primavera, i ricercatori iberici hanno fornito i dati di un esperimento condotto sull’Isla Decepción, in Antartide. Per la prima volta, è stato possibile produrre energia elettrica senza interruzione, con una riduzione minima di temperatura del suolo. Il team di ingegneria termica e dei fluidi dell’università statale spagnola di Navarra (Upna) ha sfruttato il calore delle fumarole di un vulcano attivo, a una profondità di soli 40 cm, utilizzando appositi moduli termoelettrici (effetto Seeback) e scambiatori di calore ad alta efficienza. Invece in Germania, più precisamente in Baviera, sta per attivarsi un impianto della Eavor Geretsried, con pozzi fino a 7mila metri di profondità che sfruttano il calore di conduzione e con un sistema di trasporto del calore con acqua a circuito chiuso che eliminerà le emissioni.
A capire l’impatto di queste tecniche ci aiuta il professor Andrea Borgia, geologo ed associato al Lbnl di Berkeley, che ha partecipato a molti tavoli tecnici sulla geotermia – tra l’altro, quello del Comitato Tecnico della Regione Toscana per la geotermia dell’Amiata.
Professore, cos’è la geotermia?
È una tecnica da sempre usata in tutte le civiltà. Si basa sull’utilizzo del calore, o meglio dell’energia, del sottosuolo per scopi utili, quali il riscaldamento o più recentemente la produzione di energia elettrica. Esistono vari tipi di geotermia, il più efficiente sono le pompe di calore. In estate si preleva il fresco del sottosuolo per raffreddare le abitazioni stoccando nel sottosuolo il calore, che viene sfruttato in inverno per scaldare le case. È il sistema più efficiente, si lascia più o meno invariato il sottosuolo, raffreddandolo un po’ in inverno e riscaldandolo un po’ in estate. Il bilancio di calore è vicino a zero. Queste pompe di calore geotermico sono efficienti anche all’ 80-90%, non c’è niente di meglio.
Quando cominciano i problemi?
Quando si va a sfruttare l’energia geotermica in profondità per produrre energia elettrica e si estrae una grande quantità di calore in poco tempo, raffreddando il sottosuolo. La temperatura delle rocce si può ridurre anche di circa 100 °C e pertanto esse si contraggono, generando talvolta terremoti anche molto forti. Lo stesso problema si verifica per la reiniezione dei fluidi geotermici estratti. In California il problema è meno rilevante, ma in cittadine di epoca medioevale cadono le case e si rischiano i morti. Gli edifici dovrebbero essere messi in sicurezza, la gente tranquillizzata, e anche questo ha un costo. Dove ci sono borghi antichi, come in Francia, in Svizzera e in Inghilterra, a causa dei terremoti indotti le centrali chiudono. Un altro problema riguarda le emissioni. Estraendo fluidi, i gas incondensabili sono in ultimo rilasciati in atmosfera, anche se si sta tentando la loro reiniezione. C’è poi la questione del vapore geotermico estratto che deve essere rimpiazzato con acqua dagli acquiferi idropotabili, ma in maggiori quantità rispetto a quella estratta perché la temperatura è molto più bassa. Quest’acqua di ricarica è potabile, ma una volta che entra nel campo geotermico diventa irrimediabilmente inquinata. Ed è tanta: per un impianto a ciclo binario da 5 MWe è dell’ordine di 70 litri al secondo. Per assurdo, se fossero bottiglie d’acqua da un litro, che costano 1 euro, il costo ambientale annuo sarebbe di 2 miliardi di euro. Il risultato di questo richiamo di acqua dagli acquiferi superficiali è evidente: all’Amiata, pur essendo aumentate le piogge tra il 1992 e il 2014, la portata delle sorgenti del Fiora è scesa a causa dell’incremento della produzione geotermica.
I due nuovi progetti riescono a superare questi problemi?
Sono due ottime soluzioni per il bassissimo impatto ambientale. Anche se l’efficienza di una centrale dell’Amiata è probabilmente superiore a quella degli impianti spagnolo o tedesco l’ambiente se ne avvantaggerebbe molto. I costi ambientali non sono calcolati nella produzione amiatina, ma se lo fossero realmente, gli impianti geotermici probabilmente non verrebbero fatti.
Che dire del progetto spagnolo?
Sfrutta l’effetto termoelettrico che, grazie alla differenza tra caldo e freddo, genera corrente elettrica. C’è un impatto minimo sui terreni o sulle falde acquifere, soprattutto alla scala realizzata. L’impianto lavora a stato stazionario e utilizza l’energia delle fumarole, che comunque si disperderebbe – un po’ come quella del vento in una pala eolica. Inoltre, l’impianto è a solo 40 cm dalla superficie. È evidente quanto sia minimo l’impatto!
E quello tedesco?
I pozzi scendono a profondità di anche 7mila metri per cercare rocce calde a bassissima porosità e ridurre così gli impatti sulle falde acquifere superficiali. Inoltre, se gli impianti venissero utilizzati a stato stazionario il volume delle rocce per raffreddamento si ridurrebbe ad un minimo, e così il rischio di terremoti indotti. Per diminuire ulteriormente l’impatto aumentando l’efficienza, si punta ad estrarre calore su un’area molto vasta. E poi, l’impatto sulle risorse idriche è ridottissimo. Come in un termosifone, viene immessa acqua fredda e la stessa viene estratta calda, a ciclo chiuso, per utilizzo nel teleriscaldamento e la produzione di energia elettrica. Meglio non si può fare; esistono tecnologie ancora più “pulite”, ma sono puramente sperimentali ed ancora troppo costose.