Lo scatto ha assunto presto un valore simbolico. Tanto da diventare un piccolo compendio dell’impresa appena compiuta. Al centro dell’inquadratura due uomini alzano al cielo il trofeo di campioni d’Europa tenendolo stretto dai manici. Hanno una medaglia d’oro al collo e la faccia stirata da un’espressione a metà strada fra la rabbia e la gioia incontenibile. Alle loro spalle qualche compagno di squadra avanza sul prato verde di Wembley fin sotto allo spicchio occupato dai tifosi italiani. I loro visi sono però confusi, coperti, irriconoscibili. Sembrano quasi oscurati dalle sagome di Chiellini e Bonucci, i due emblemi di un trionfo che nessuno pensava possibile. È un’istantanea che contiene al suo interno un momento indefinito, un orgasmo collettivo durato giorni e diventato poi patrimonio condiviso della storia del Paese.

La guida a Euro 2024, girone per girone: le favorite, le outsider e il programma completo

Tre anni più tardi di quello scatto è rimasto poco o niente. Lo sponsor tecnico è cambiato. La tonalità di azzurro sulle maglie si è fatta più intensa. Il commissario tecnico che aveva trasformato in realtà un sogno più che ardimentoso ha prima fallito la qualificazione ai Mondiali e poi ha preferito sedersi sulla panchina di un’altra Nazionale. E anche il ricambio generazionale è stato a volte impietoso. Così tra l’Italia che in Germania proverà a difendere il titolo di campione d’Europa e quella che lo ha vinto in Inghilterra ci sono più difformità che aderenze.

Ad accomunarle c’è per lo più un assunto di partenza. Quello di rompere con la cara vecchia tradizione del gioco all’Italiana, della difesa a oltranza, del marcatore ruvido che spegne il genio altrui, del successo ottenuto senza incantare. Il principio è chiaro. La Nazionale deve esporre sul campo un’Idea, deve proporre e non subire, deve poter dire la propria. Contro chiunque. Per riuscirci Luciano Spalletti ha dettato ai suoi due tavole della legge con sei comandamenti: pressing continuo, compattezza dei reparti, controllo del gioco tramite un fraseggio continuo, riaggressione immediata per riconquistare il pallone, ricompattamento per non lasciare spazi agli avversari, ritorno alla fase di pressing. Principi di buon senso che sono in qualche modo sovrapponibili con quelli mostrati tre anni fa. Anche se la grande differenza potrebbe evidenziarsi nel modo in cui metterli in pratica.

La squadra di Mancini ha basato il suo successo su una certa solidità difensiva (forse più putativa che effettiva, visto che nel cammino fino alla finale gli azzurri avevano subito tre reti mentre l’Inghilterra ne aveva incassato appena uno) che poi si irradiava al resto della squadra. L’ex commissario tecnico aveva modellato la squadra intorno a una difesa a quattro i cui protagonisti si integravano alla perfezione. Spinazzola, in stato di grazia, aveva dimostrato di poter saltare più o meno qualsiasi avversario. Chiellini era il cortocircuito temporale che declinava in chiave più moderna l’antica tradizione difensiva italiana. Bonucci offriva quelle verticalizzazioni e quella capacità à di giocare il pallone che lo avevano fatto finire nel mirino di Guardiola. E Di Lorenzo garantiva forse meno estro del suo omologo di sinistra, ma forniva una buona solidità in entrambe le fasi. Di quella linea, oggi, si intravedono soltanto le macerie. Il romanista è alle prese con una serie infinita di problemi fisici. I due juventini si sono arresi allo scorrere del tempo. Il napoletano è reduce da una stagione complicata. E i loro sostituti non sembrano garantire la stessa impenetrabilità. Spalletti avrebbe portato in Germania Scalvini e Acerbi, che però sono stati appiedati dagli infortuni. Così ha convocato Bastoni, Buongiorno, Calafiori, Darmian, Gatti e Mancini. Piccolo dettaglio: (quasi) tutta gente che solitamente gioca in una linea a tre. È una questione più pratica che simbolica. Perché è già da marzo che il ct ha pensato al cambio d’assetto. Per affidarsi al blocco Inter. Per affidarsi a un sistema praticato anche da Atalanta, Torino e in parte Roma. Per trovare una nuova solidità.

Più in generale, però, il torneo tedesco ha segnato l’eclissi di alcune certezze come Verratti, ma soprattutto delle sorprese azzurre di tre anni fa. Locatelli (che grazie all’Euro 2020 ha trovato la chiamata della Juventus) non è stato neanche convocato per via della sua interpretazione da “troppo difensore rispetto a dove sta andando il ruolo”, mentre Berardi è stato messo fuori causa per un infortunio. Anche la stella di Jorginho appare meno luminosa. Nel 2021, dopo la vittoria sull’Inghilterra, il regista era considerato come un possibile vincitore del Pallone d’Oro. Ma dopo il torneo la sua leadership ha iniziato ad affievolirsi.

Paradossalmente l’unico ruolo che sembra più coperto rispetto a tre anni fa è quello del centravanti. Al posto di Immobile (2 gol a Euro 2020, entrambi nel girone) e Belotti (zero centri in tutto il torneo), ora ci sono Retegui, Scamacca, e in qualche misura Raspadori (che potrebbe giocare da falso nove). Gente dal talento certo ma ancora a caccia della consacrazione definitiva. I superstiti dell’avventura di tre anni fa si contano sulla punta delle dita: Donnarumma, Meret (che non ha mai giocato), Di Lorenzo, Bastoni, Cristante, Barella, Jorginho, Chiesa e Raspadori. Per loro adesso si apre la partita più difficile. Quella della conferma. Ma questa è tutta un’altra storia.

La guida a Euro 2024

Gironi, classifica e regolamento: chi passa agli ottavi di finale

Gruppo A – La Germania che vuole tornare grande e l’Ungheria di Marco Rossi

Gruppo B – Italia nel girone più duro. La solita Spagna, la Croazia all’ultima chance

Gruppo C – L’Inghilterra “per portarla a casa” e la Danimarca per ritrovarsi

Gruppo D – La Francia dei fenomeni e l’Olanda della nuova generazione

Gruppo E – Il Belgio della transizione e la Slovacchia di Calzona

GRUPPO F – L’eterno Ronaldo contro le giovani stelle di Turchia e Georgia

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