Televisione

Giovanna Botteri va in pensione: “Ma un mestiere così non si abbandona”. L’Usigrai la celebra: “Icona del servizio pubblico”

L'Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, le dedica un commosso saluto, definendola un'icona del mestiere e un esempio per le generazioni future

di F. Q.

Dopo una carriera straordinaria che l’ha portata a raccontare il mondo da New York a Pechino (in piena pandemia di Covid, tra l’altro), passando per Parigi e le zone di guerra, Giovanna Botteri va in pensione. E l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, le dedica un commosso saluto, definendola un’icona del mestiere e un esempio per le generazioni future. Ma continuerà fare giornalismo e tv fa intendere nelle interviste concesse alle agenzie di stampa Ansa e AdnKronos. “Un mestiere così non è che si abbandona: noi questo sappiamo fare e continuiamo a fare, come Il suonatore Jones di De André, ‘suonare ti tocca / per tutta la vita’. È una strada che forse si fa anche in un modo diverso” dice all’Ansa da Parigi da cui sta raccontando le manifestazioni anti Rassemblement national. Botteri, che dopo le prime esperienze nella carta stampata ha iniziato a collaborare con la Rai, entrando poi nella redazione esteri del Tg3, testata per cui ha raccontato da inviata speciale i principali avvenimenti internazionali, dalla rivoluzione in Romania alle guerre in Bosnia e Kosovo, dal G8 di Genova all’occupazione statunitense in Iraq, vincendo il Premio Ilaria Alpi e il Premio Saint Vincent per i suoi servizi da Baghdad.

“Ci sono giornaliste così preparate che diventano esse stesse icone di un mestiere” aggiunge l’Usigrai. “Signorilità, pacatezza, lucidità, equilibrio, ma soprattutto una completa aderenza ai valori e alla missione del servizio pubblico sono stati e saranno di esempio per generazioni di giornaliste e giornalisti”, prosegue il sindacato Rai. “Mai sopra le righe, Giovanna Botteri ha raggiunto una grande popolarità semplicemente svolgendo con dedizione il suo mestiere di inviata che racconta senza riserve ciò che vede” conclude l’Usigrai.

Nata a Trieste, Giovanna Botteri ha mosso i primi passi nella sede Rai della sua città natale. Da lì, un percorso inarrestabile l’ha portata a ricoprire ruoli di primo piano a New York, Pechino e Parigi, diventando una delle inviate più apprezzate e stimate del panorama giornalistico italiano. Botteri si è distinta per la sua eleganza, la sua pacatezza e il suo rigore professionale: nel 2021 è salita sul palco del Festival di Sanremo e sempre in quel periodo era salita alla ribalta per la sua chioma naturalmente scarmigliata durante i collegamenti in diretta.

“Credo che ci siano quelle due o tre cose che so fare, e credo continuerò a farle” promette parlando con l’AdnKronos. Ci sarà “più tempo per le passioni”, spiega la Botteri. Come quella per la Lazio. “Ci sarà più tempo per andare allo stadio”, ride. Oppure, come dice invece all’Ansa, per fare qualche vasca in piscina.

Botteri ricorda la sua prima volta nei Balcani, “in una casa bombardata dove tutti erano rimasti uccisi. Vidi il sacchetto di un grande magazzino di Trieste dove andavo anch’io: la guerra è qualcosa di reale, che ti tocca. Credo che il tentativo sia stato anche questo: far sentire a chi è a casa che quello che succede forse non è così lontano“. Ringrazia chi in questi anni in Rai l’hanno aiutata, le sono stati vicini, le hanno “insegnato tante cose”:. “Il bello di questa avventura è che è un’avventura umana, per le persone che incontri, le storie che senti, per quelli che lavorano per te e con te e che magari non si vedono. Se il mio lavoro è stato ben fatto, è stato grazie a loro. Questa è la lezione forte di umiltà e di rispetto che mi hanno insegnato questi anni ed è quello che mi porto dietro”.

Fare l’inviata di guerra e poi la corrispondente “significa incrociare la tua vita con quella degli altri: in qualche modo – si appassiona – ogni pezzo di strada è un ricordo delle persone con cui ho compiuto il cammino, di quelle che ho visto morire al fronte, in guerra. Come dico sempre, è moltissimo quello che noi riceviamo, probabilmente molto di più di quello che riusciamo a dare: vai, racconti storie e te ne vai via, e le persone ti danno fiducia, la possibilità di raccontare, di spiegare una guerra, una tragedia, una pandemia, una rivoluzione, un cambiamento, tu attraversi un pezzetto della loro vita e la porti agli altri”.

Tra le lezioni che ha imparato, Botteri ricorda le prime esperienze da corrispondente di guerra: “Avevo mia figlia piccolissima, ero una delle pochissime reporter di guerra, forse l’unica con figli, e mi vergognavo di mostrare che avevo paura: ecco, ho imparato che non bisogna vergognarsi di avere paura, perché la paura ti detta prudenza e ti salva la vita. E poi nelle situazioni difficili ho imparato a distinguere la gente buona da quella cattiva, perché in certi momenti non ci sono compromessi né finzioni, anche nei rapporti con le persone c’è molta verità”. “Ho capito – continua – in che modo faccia la differenza essere una donna, una cosa che rivendico sempre: i miei occhi sono quelli di una donna, di una madre, ho raccontato storie che forse non erano così scontate, in un momento in cui si raccontavano poco i profughi, i civili, le famiglie, aspetti che oggi sarebbe impossibile portare fuori dal racconto. E questo è un risultato raggiunto un poco anche grazie a noi, che abbiamo portato la nostra sensibilità, la nostra attenzione, uno sguardo femminile non nel senso che appartiene a una donna, ma che è capace di raccontare qualcosa di diverso”.

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