Ho deciso di chiudere la mia campagna elettorale per le Europee in Georgia a Tbilisi ed ora che è tutto finito posso tornare a scrivere per questo blog (ho opportunamente osservato un periodo di astensione, essendo candidato) e raccontarvi come è andata.

Sono partito da una domanda: che idea di Europa vogliamo difendere? Per me l’Europa non può essere un “bottino di guerra” (la guerra che gli europei hanno portato nel Mondo per cinquecento anni, colonizzando, saccheggiando, schiavizzando), non può nemmeno essere un privilegio da difendere, una specie di “giardino” recintato dal quale tenere lontani gli altri e nel quale mortificare gli “indesiderati” (vedi alla voce “normalità” orrendamente re-introdotta dal neo euro deputato campione di preferenze, generale Vannacci). L’Europa non può essere niente di simile, semplicemente perché contraddirebbe se stessa, negando e rimuovendo la radice stessa della sua genitura, che è la pace.
La pace intesa nella maniera più alta e concreta possibile ovvero il disarmo dell’economia che alimenta una convivenza basata sulla condivisione e sulla cooperazione.

Parole in libertà? Vana retorica pacifista? Niente affatto. Soltanto sana pratica rivoluzionaria, quella della quale furono capaci i leader del secondo dopo guerra europeo, che avevano ancora addosso tutto il male prodotto del nazi-fascismo: era il 9 maggio del 1950 (cinque anni dalla fine della guerra!) quando venne resa pubblica la dichiarazione Schuman, con la quale il Ministro degli Esteri francese osava scrivere all’omologo tedesco (rappresentante dei vinti e dei carnefici!): sono secoli che ci massacriamo per il controllo delle risorse minerarie della Ruhr, basta, mettiamole in comune ed affidiamo la gestione del bacino minerario ad una autorità sovranazionale. Sarà questa decisione “disarmante” che porterà alla nascita della CECA e quindi della CEE. Una decisione autenticamente rivoluzionaria, come se domani leader israeliani e palestinese si scrivessero: ci stiamo massacrando per il possesso della terra, basta, mettiamola in comune e gestiamola insieme. Vi suona come una pazzia? Esattamente come dovette suonare alle orecchie di molti la dichiarazione Schuman nel 1950.

Noi siamo figli di quella “utopia-domiciliata” in Europa. Noi, democratici (comunque aggettivati), abbiamo il dovere di salvare questa idea di Europa che è l’unica capace di coniugare sicurezza e benessere. Abbiamo il dovere di salvarla dalla impostura nazionalista, tanto quando veste i panni accattivanti di Meloni o Le Pen, tanto quando veste quelli spudorati e tracotanti del Vannacci di turno.

La Georgia è stata militarmente aggredita dalla Russia putiniana nel 2008 ed ha subito l’amputazione del 20 % del proprio territorio. La Georgia che ha un glorioso passato repubblicano pre-sovietico, da quando ha ri-ottenuto l’indipendenza dopo il crollo dell’Urss ha impresso una rotta chiarissima al proprio percorso scegliendo due parole d’ordine: democrazia ed Europa. Al punto da fare della integrazione europea un principio costituzionale. Le incertezze dell’Unione europea ed il tempo trascorso non hanno aiutato e la Georgia, che pure aveva iniziato da tempo un formale percorso di avvicinamento all’Unione Europea, ha subito negli ultimi quindi anni, in maniera sempre più invadente e pervasiva la volontà russa di riassorbirla nella propria sfera di influenza. Ma in Georgia, come in Ucraina, esiste e resiste una società ampia, radicata e determinata che si oppone a questa involuzione illiberale (tipica dei progetti politici di tutte le destre occidentali), che si è drammaticamente manifestata nella persecuzione del movimento Lgbtq+, di cui abbiamo ancora letto recentemente su Il Fatto in un bell’articolo di Michela Iaccarino, oltre che nella vera e propria “messa all’indice” (che di solito precede la “messa al bando”!) della ong che ricevono finanziamenti dall’estero. Una società che continua a battersi per la democrazia liberale e per l’Europa.

Per questo, avendo io antichi rapporti con Tbilisi, ho deciso di chiudere la mia campagna elettorale per il Parlamento europeo andando ad incontrare i giovani universitari, gli attivisti, gli insegnanti che sono l’anima di questo movimento resistente. Abbiamo trascorso la mattina del 5 giugno a confrontarci e mi hanno colpito la profondità e la lucidità delle loro analisi, ma anche la forte preoccupazione per una Russia sempre più aggressiva e per una Europa sempre più in ritardo. Ho detto loro che se fossi stato eletto sarei tornato subito da parlamentare europeo.

Non sono stato eletto, ma nel campo largo democratico sono state elette persone eccellenti alle quali faccio un appello: andate subito a trovare questi ragazzi e queste ragazze e dite loro che c’è speranza! Come ama dire Elly Schlein: non lasciamo l’internazionalismo ai nazionalisti. L’Europa che vogliamo ha bisogno di ponti e di telai, non di muri e di paura.

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