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Il Nyt mostra i documenti con cui Mosca e Kiev discutevano di pace nel marzo 2022. “Eravamo riusciti a trovare un vero compromesso”

Come già emerso, un’opportunità per una pace tra Ucraina e Russia si era palesata all’inizio, poche settimane dopo l’invasione. Ora il quotidiano americano New York Times torna sulla vicenda riportando alcuni dei punti discussi all’epoca e che, due anni dopo, sono invece ancora tutti irrisolti. Richieste e concessioni che le due parti sembravano disposte quanto meno a discutere, ma che non si è riusciti a concretizzare, anche per effetto delle pressioni di alcuni alleati occidentali. I documenti esaminati dal Nyt riguardano sessioni di colloqui che si sono svolti da febbraio ad aprile 2022. Ultima ed unica volta in cui funzionari dei due paesi si sono impegnati in colloqui di pace diretti. “Eravamo riusciti a trovare un vero compromesso”, ha detto Oleksandr Chalyi, membro del gruppo negoziale ucraino. “Tra metà aprile e fine di aprile (2022, ndr), eravamo molto vicini a concludere la guerra con una soluzione pacifica”.

I documenti hanno come oggetti principali lo status dei territori ucraini occupati da Mosca e le future garanzie per la sicurezza dell’Ucraina. In un primo momento Mosca ha chiesto il riconoscimento della Crimea come parte della Russia. “L’Ucraina riconosce la Repubblica di Crimea e la città di Sebastopoli come parte integrante della Federazione Russa e, a questo proposito, apporterà modifiche radicali alla legislazione nazionale”, si legge nelle bozze delle trattative. La questione Crimea è stata però poi successivamente esclusa. Altri documenti mostrano discussione su i termini della potenziale adesione dell’Ucraina all’Unione Europea e sull’abrogazione di leggi ucraine limitative della lingua e cultura russa. I negoziatori dell’Ucraina si sono offerti di rinunciare all’adesione alla Nato e di accettare l’occupazione russa di alcune parti del loro territorio, rifiutando però di riconoscere la sovranità di Mosca.

“L’Ucraina non aderisce ad alcuna alleanza militare, non schiera basi militari e contingenti stranieri…”, si può leggere nelle bozze pubblicate dal quotidiano. E ancora: “L’Ucraina, entro 30 giorni dalla firma del presente Trattato, rimuoverà tutte le restrizioni all’uso della lingua russa in qualsiasi area”. Kiev era pronta a diventare uno “stato permanentemente neutrale” che non avrebbe mai aderito alla Nato né avrebbe permesso che forze straniere si stabilissero sul suo territorio. L’offerta sembrava rispondere alla lamentela principale di Putin: ovvero che l’Occidente, secondo Mosca, stava cercando di usare l’Ucraina per indebolire fino a distruggere la Russia.

L’Ucraina ha per contro cercato il consenso della Russia alle “garanzie di sicurezza” internazionali, in base alle quali altri paesi sarebbero intervenuti in sua difesa se fosse stata nuovamente attaccata. Voleva che il trattato si applicasse ai “confini riconosciuti a livello internazionale”. Kiev chiedeva che i suoi alleati fossero vincolati dal trattato a intervenire se fosse stata attaccata, “chiudendo lo spazio aereo sopra l’Ucraina, fornendo le armi necessarie, utilizzando le forze armate per ripristinare e successivamente mantenere la sicurezza dell’Ucraina come stato permanentemente neutrale”.

Il Nyt rivela che uno dei punti che hanno probabilmente contribuito a far saltare un’intesa è il cosiddetto articolo 5: in caso di un altro attacco armato contro l’Ucraina, gli “Stati garanti” che avrebbero firmato il trattato – Gran Bretagna, Cina, Russia, Stati Uniti e Francia – sarebbero intervenuti direttamente in difesa dell’Ucraina. Ma Mosca volle inserire una clausola secondo la quale “tutti gli Stati garanti, Russia compresa”, avrebbero dovuto approvare la risposta nel caso in cui l’Ucraina fosse stata attaccata. Insomma, una sorta di diritto di veto di Mosca, che di fatto avrebbe potuto nuovamente invadere il territorio ucraino. La clausola, giudicata assurda, fece precipitare le cose: con questo cambiamento, disse uno dei negoziatori ucraini “non avevamo alcun interesse a continuare i colloqui”.

La Russia chiedeva altresì l’azzeramento da parte dell’Ucraina delle sanzioni contro Mosca imposte dal 2014, e un impegno a sollecitare gli altri paesi a fare altrettanto. L’Ucraina avrebbe dovuto inoltre cedere il Donbass. Tra le altre richieste il divieto “dell’apologia e della propaganda in qualsiasi forma del nazismo e del neonazismo”. I funzionari americani, riporta il New York Times, erano allarmati dalle condizioni poste da Mosca. Negli incontri con le controparti ucraine, un funzionario Usa ha ricordato di aver detto: “Lo capite che si tratterebbe di un disarmo unilaterale, vero?’”.

I leader polacchi temevano che Germania de Francia potessero spingere gli ucraini ad accettare le condizioni della Russia e volevano impedirlo. A tal fine, quando il presidente della Polonia, Andrzej Duda, si è incontrato con i leader della Nato a Bruxelles il 24 marzo, ha mostrato il testo delle bozze. Nei successivi colloqui di Istanbul del 29 marzo, le richieste di Mosca sarebbero state un poco ridimensionate, con un’enfasi minore sulle richieste territoriali. Lo status della Crimea avrebbe dovuto essere deciso nell’arco di 10 o 15 anni, con l’Ucraina che prometteva però di non tentare di riconquistare la penisola con la forza. Dopo di che le trattative si sono definitivamente interrotte.