Diritti

Marche, obiezione quasi al 100% e ostacoli all’aborto farmacologico: le storie delle donne costrette a spostarsi. E la Regione non si adegua alle linee ministeriali

“Donna con certificato d’urgenza per interruzione volontaria di gravidanza rilasciato dal consultorio di San Benedetto del Tronto alla dodicesima settimana e cinque giorni, è stata respinta dall’ospedale di San Benedetto del Tronto, da quello di Ascoli Piceno e da quello di Teramo. Domani è a 12 settimane e 6 giorni, ed è l’ultimo giorno in cui potrà abortire”. L’SOS, di qualche settimana fa, è di Tiziana Antonucci, presidente di Aied Ascoli Piceno, ed era indirizzato alle reti di attiviste che supportano nei percorsi IVG, realtà sempre più diffuse sul territorio italiano e tanto più dove il percorso è accidentato. Il caso specifico si è poi risolto grazie alla rete di supporto, ma che nelle Marche il percorso sia particolarmente complicato è leggibile anche dai dati sulla mobilità dentro e fuori la Regione: il 29,5% delle IVG avviene in una provincia diversa da quella di residenza (la media italiana è del 20%, in Emilia Romagna è del 11,2%), e l’11,3% deve andare fuori regione (contro il 4,5% del centro Italia) (dati Osservatorio Diseguaglianze nella Salute / ARS Marche Settore Territorio ed Integrazione Socio Sanitaria/ARS Marche).

Gli effetti dell’obiezione di coscienza tra l’80 e il 90 per cento – Molte marchigiane che vogliono abortire si riversano sull’Emilia Romagna, in particolare Bologna e Rimini. Lo denuncia Marte Manca, attivista trans-femminista che aderisce alla rete Pro-choice e che dal 2020 ha accompagnato decine di persone in percorsi IVG difficoltosi, dinventando un punto di riferimento sul territorio. Intervistata da ilfattoquotidiano.it, elenca alcuni casi dal suo schedario: “Macerata, studentessa, 2022, telefona il primo settembre l’appuntamento glielo danno per il 17, contatta il consultorio di Ancona e le danno appuntamento il 15 ottobre, ci contatta e la mandiamo ad Ascoli dall’Aied che nel giro di una settimana fa l’IVG chirurgico”. Il servizio di Ascoli Piceno era un punto di riferimento grazie alla convenzione con il consultorio Aied che lo ha garantito fino a febbraio 2023, quando la convenzione è stata sospesa dalla Giunta regionale di Francesco Acquaroli, esponente di Fratelli d’Italia. “Jesi, ragazza di 24 anni, lavoro precario, ci contatta per IVG farmacologico; è alla 6 settimana di gestazione e il certificato le viene fatto subito, ma Macerata le dà appuntamento dopo 10 giorni e nelle Marche il farmacologico te lo danno fino a 7 settimane, a Senigallia viene respinta, quindi va a Rimini ad abortire”, continua Manca. “Della decina di donne che mi hanno contattato nel 2023, solo una ha abortito con il farmacologico, ad Ascoli Piceno. Le altre sono andate a Rimini su suggerimento degli stessi ospedali”, dice.

“L’Ospedale di Fermo è in obiezione di struttura continuativamente dal 1978″ ovver l’obiezione di coscienza è al 100% e la struttura non ha mai fornito il servizio, “e ha una convenzione con l’Ospedale di Macerata che garantisce l’attuazione della legge 194 attraverso la mobilità della cittadinanza che deve abortire, anziché del personale sanitario”, sottolinea Marte Manca. Da Fermo, nel 2022, 115 donne sono emigrate in altra provincia e 19 in altra regione (dati Istat). Anche a Jesi, in provincia di Ancona, l’obiezione è al 100%. Altri ospedali ci vanno vicino: la percentuale di obiettori è al 91% a Osimo, al 90% a Fano, e all’82% a Senigallia. Le cose non vanno meglio nei consultori: in riferimento all’anno 2023, su 66 consultori familiari meno della metà rilasciano le certificazioni IVG, cioè 27. In base alla legge 194, l’obiezione di coscienza è consentita solo sulla procedura abortiva e non per ciò che la precede o la segue e dunque non dovrebbe essere permessa in consultorio. Eppure, in 7 sedi consultoriali il personale è al 100%, in 18 sedi lo è dal 40% al 67%, in 13 sedi la percentuale va dal 20% al 33 %. Solo in 9 sedi non c’è personale obiettore”. Quanto agli ospedali, a Fermo e Jesi l’obiezione di coscienza è al 100%, a Senigallia, Civitanova e Fano tra l’80% e il 90%, solo ad Ancona e Urbino è sotto al 30%”.

Ostacoli anche all’aborto farmacologico – Oltre all’obiezione di coscienza, un’altra causa di mobilità per IVG è la scarsa disponibilità del metodo farmacologico. “Nel 2021 Pesaro, Civitanova, Fabriano e Jesi non hanno effettuato neanche una IVG farmacologica”, evidenzia ancora Marte Manca. Nelle Marche la somministrazione dell’aborto farmacologico con Ru486 e prostaglandine è consentita solo fino a 7 settimane, quando in tutta Italia si procede fino a 9 seguendo la determina dell’Agenzia italiana del farmaco del 2020. Per quali motivi? “Nella nostra regione l’IVG farmacologica è ancora ferma a una direttiva regionale del 2016 che la indica come procedura sperimentale e che identifica un ospedale per provincia in cui somministrare i farmaci – Senigallia, Ascoli, Macerata, Urbino, San Benedetto del Tronto”, dichiara un’operatrice, in anonimato, a ilfattoquotidiano.it. “Sempre per questa direttiva, teoricamente non potremmo mandare in un altro ospedale, per esempio, una paziente di Senigallia che non vuole abortire a Senigallia. Paradossalmente posso mandarla a Rimini, perché me la prende, e non posso mandarla ad altra provincia marchigiana. Oltre all’Emilia Romagna, altre zone esterne di destinazione potrebbero essere in Abruzzo, per quanto riguarda il Sud delle Marche, perché c’è Teramo che fa farmacologico senza problema, e una parte potrebbe anche dirigersi verso l’Ospedale di Branca e Gubbio, primo passaggio umbro vicino alle Marche (zona Fabriano). La maggior parte delle donne arriva in un’epoca molto precoce, per cui una buona parte riusciamo a trattarle con il metodo farmacologico, mentre per il chirurgico ci diamo da fare per smistarle tra i vari ospedali, riuscendo ad evitare grossi spostamenti a chi ha problemi”, dichiara un’operatrice, in anonimato, a ilfattoquotidiano.it.

La delibera fantasma e le responsabilità dei primari – La Regione Marche non ha ancora recepito le Linee di indirizzo ministeriali del 2020, indirizzate a tutti gli assessori regionali alla sanità. La delibera di recepimento è pronta (la n. 34837725 del 22 marzo 2024) ed era stata calendarizzata per la seduta di Giunta dello scorso 3 aprile. Ma non è mai stata discussa, come non lo è stata l’interrogazione formulata dalla consigliera regionale Pd Manuela Bora per avere chiarimenti in merito. Per questo la stessa Bora ha fatto una richiesta di accesso agli atti chiedendo il motivo della mancata discussione. La risposta è arrivata dalla dirigente della struttura regionale competente in materia (non l’Assessore): la proposta è stata ritirata dalla Giunta, “per sopravvenuta necessità di approfondimenti istruttori”.

E mentre la Regione approfondisce, la DGR 406 del 13 giugno 2016 continua a dettare legge. Anche perché i primari ospedalieri non osano sfidarla. Eppure, per la somministrazione fino a 9 settimane anche in consultori o ambulatori attrezzati, non avrebbero bisogno di una nuova delibera ma basterebbe che seguissero gli indirizzi nazionali e internazionali: le Linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità, le Linee di indirizzo ministeriali che recepiscono la determina Aifa 865/2020, le Raccomandazioni dell’Istituto superiore di sanità del 2023. Lo chiarisce Antonella Anselmo, avvocata amministrativista, a ilfattoquotidiano.it: “Se la Regione ritiene di derogare al quadro nazionale e internazionale dovrebbe giustificare questa deroga con dati che indicano in modo evidente la rischiosità dell’aborto farmacologico e che differiscono dalle evidenze scientifiche esistenti. In mancanza di riscontri oggettivi, l’applicazione di una delibera del 2016, dimostratasi non più attuale, è di ostacolo all’accesso a prestazioni sanitarie essenziali e rende di fatto non applicabile la legge 194”. “L’8 marzo 2022 è stata inviata una diffida da parte di oltre 20 associazioni ed entità per chiedere l’applicazione delle linee di indirizzo del 2020, senza che questa abbia prodotto alcun riscontro” – fa notare la Rete femminista Marche Molto+di194.

Una nuova interpellanza del gruppo consiliare Pd chiede alla Giunta regionale chiarimenti su queste vicende e sulla presenza delle associazioni anti-abortiste nei consultori. E’ all’ordine del giorno in discussione nella seduta del Consiglio regionale del 18 giugno prossimo (che si terrà nella sede di via Tiziano) e tra il pubblico saranno presenti l’Associazione dei ginecologi territoriali (Agite), Aied Ascoli Piceno, l’Associazione ginecologi non obiettori (Laiga) e Pro-choice rete italiana contraccezione aborto, mentre la rete femminista Marche Molto+di194 ha indetto un presidio nel piazzale antistante, la sede del Consiglio, in Piazza Camillo Benso di Cavour, 23 ad Ancona.