Un anno fa (9 giugno) ricorreva il centenario della nascita di Benedetto Marzullo, scomparso nel 2016. Insigne grecista, studioso fra l’altro di Omero, lirici e commedia classica, Marzullo ha soprattutto il merito di aver “inventato” il Dams, il corso di laurea in discipline delle arti, della musica e dello spettacolo, nato a Bologna nel 1970.
Si tratta di una delle maggiori novità dell’università italiana dal dopoguerra ad oggi, almeno nel settore umanistico. Per la prima volta, grazie all’intuizione di un filologo classico innamorato del teatro, le discipline artistiche e quelle della comunicazione, fino ad allora inesistenti a livello accademico o condannate quasi sempre alla marginalità, venivano strutturate in organici percorsi formativi.

Il secondo colpo di genio di Marzullo fu quello di reclutare gran parte dei docenti fuori dal recinto accademico, rivolgendosi in ogni caso a figure di assoluto valore. Fu così che arrivarono a Bologna, fra gli altri, Umberto Eco e Tomás Maldonado, Luigi Squarzina, Roberto Leydi e Furio Colombo, Gianni Celati e Giuliano Scabia, Mario Bortolotto, Franco Donatoni e Aldo Clementi.

Nei decenni successivi il modello Dams si è diffuso in tutti gli atenei del Paese, anche se non sempre le “imitazioni” sono risultate adeguate, per mancanza di visione e risorse. Lo stesso Dams bolognese non è andato esente, negli oltre cinquant’anni di vita, da numerose difficoltà legate, in primo luogo, alla non facile convivenza con la Facoltà di Lettere, che ha sempre impedito il suo tentativo di costituirsi in Facoltà autonoma, secondo il progetto originario dell’ideatore.

L’idea di trasformare il corso di laurea Dams in una Facoltà non nasceva dall’insana bramosia di potere del grecista, come qualcuno ha insinuato anche di recente. Si trattava invece della naturale aspirazione di un progetto formativo del tutto inedito da noi, estraneo all’impostazione storicistica dei tradizionali corsi di laurea letterario-filosofici. Nell’immaginare un percorso didattico in teatro, cinema, musica, arti visive e comunicazione, i modelli di Marzullo erano stati affatto diversi: soprattutto le Hochschule tedesche, con il loro intreccio di dimensione teorico-metodologica e dimensione tecnico-operativa.

Non saprei dire con certezza se la mancata trasformazione in Facoltà abbia davvero penalizzato lo sviluppo successivo del Dams. Per quanto riguarda il favore studentesco sicuramente no, vista la crescita esponenziale delle iscrizioni annuali fino alla metà degli anni Novanta, quando arrivarono a superare quota 1500! Neppure penso che il diventare Facoltà avrebbe risolto automaticamente la complessa questione degli sbocchi professionali, per altro sempre ingigantita dai tanti detrattori.

Tuttavia, è molto probabile che l’autonomia avrebbe aiutato in modo significativo a definire meglio i profili professionali da offrire agli studenti, mediante un più efficace equilibrio tra formazione storico-teorica e formazione tecnico-pratica. Invece, costretta dentro Lettere, la dimensione elettivamente sperimentale e operativa (molto curata da Marzullo nei primi anni) dovette rapidamente cedere il passo a una “normalizzazione” che spostò per sempre il baricentro verso il polo storico-teorico, destinando le attività pratiche a un ruolo sempre più marginale, nonostante gli sforzi appassionati di alcuni insegnanti, a cominciare da Giuliano Scabia.

In definitiva, la Facoltà di Lettere e Filosofia è stata più matrigna che madre nei confronti del Dams. Lo ha sempre trattato con sufficienza, alla stregua di un figlio indesiderato e anche un po’ scapestrato, che tuttavia non si vuol lasciar andare perché porta tanti soldi a casa (leggi: tasse d’iscrizione). E mi riferisco non tanto alla battaglia storica del ’72/73, quanto ai vari altri tentativi che furono messi in atto successivamente. Ricordo che Renato Barilli, docente al Dams dall’inizio, figurava sempre tra i più accesi sostenitori della secessione. Per questo mi fa specie che tre anni fa, sull’Espresso, egli abbia rivendicato con orgoglio di aver contribuito al fallimento del tentativo di Marzullo nei primi anni Settanta e alla sua definitiva estromissione.

Del Dams si parla ora nel volume Le scienze umanistiche a Bologna tra il secondo dopoguerra e il XXI secolo, a cura di Walter Tega, Bologna University Press, 2023. Ma la sua “vera storia” non è ancora stata scritta.

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