“Effettivamente andò così. La nostra decisione di opporci a quella che ci appariva come una manovra, al di là della indubbia buona fede di Scalfaro, fu unanime. E pensare che Scalfaro era stato per me un grande amico“. A parlare è il cardinale Camillo Ruini, per 16 anni alla guida della Conferenza episcopale italiana, rispondendo in un’intervista al Corriere della Sera sulla richiesta che nel 1994 gli fece l’allora capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, di aiutarlo a far cadere il governo Berlusconi. Un invito che arrivò nel corso di un pranzo al Colle, a cui erano presenti anche il cardinale Angelo Sodano e monsignor Jean-Louis Tauran, secondo quanto contenuto nel libro sui presidenti della Repubblica Il Colle d’Italia.

Ruini nell’intervista racconta della sua influenza sulle decisioni dei partiti: prima con la Dc, poi – dopo Mani Pulite – con il Partito popolare italiano e infine la decisione di “aprire una porta” a Silvio Berlusconi. Il cardinale, considerato un vero e proprio leader politico, racconta anche gli altri “momenti salienti” nei quali “la Chiesa si posizionò in proprio, esprimendo direttamente la sua posizione“: il referendum sulla procreazione assistita del 2005 (per il quale il Vaticano ha spinto per l’astensione) e l’opposizione alla legge sui Dico del governo Prodi nel 2007, “che apriva le porte al riconoscimento delle unioni tra omosessuali“, ricorda Ruini. “Non ero più presidente della Cei, ma guidai ancora io quel passaggio“, racconta il cardinale 93enne: “Grazie alla manifestazione del Family day quel provvedimento si fermò”, rivendica.

Ma la richiesta di Scalfaro durate quel pranzo al Quirinale non venne apprezzata da Ruini. “Rammento quando De Mita nel 1987 – racconta al Corriere – gli aveva offerto di diventare presidente del Consiglio, in opposizione a Craxi e con la benevolenza del Pci. Scalfaro allora era venuto da me e mi aveva detto che avrebbe rifiutato. ‘Fa bene’, avevo risposto. E infatti a Palazzo Chigi sarebbe poi andato Amintore Fanfani“. “Per questo rimasi colpito dal modo in cui aveva cambiato posizione, così nettamente”, spiega ancora Ruini. Per il cardinale non bisognava far cadere quell’imprenditore milanese divenuto presidente del Consiglio. “Penso che Berlusconi abbia mostrato i suoi pregi e i suoi limiti, come tutti gli altri politici, ma che non abbia avuto in alcun modo fini eversivi. I pericoli per la Repubblica semmai erano altri”, commenta Ruini. Alla fine comunque Berlusconi presentò le sue dimissioni il 22 dicembre 1994 a seguito di numerose tensioni con la Lega Nord di Umberto Bossi, che decise di uscire dalla maggioranza. Scalfaro, così, trovò una nuova maggioranza in Parlamento invece di indire nuove elezioni, come richiesto dal centrodestra, dando vita al governo Dini, il primo caso di “governo tecnico” della storia repubblicana. Due figure, quelle di Berlusconi e Scalfaro, che si sono scontrate più volte in momenti delicati della seconda Repubblica.

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