“Il dialogo tra tutte le parti è necessario per porre fine alla guerra”: è uno della dichiarazione finale del vertice di Lucerna, in Svizzera, al quale hanno partecipato Paesi di tutto il mondo, compresa l’Italia (oggi è arrivata anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni). Un testo che però non è stato sottoscritto da molti Paesi chiave del Sud Globale: Arabia Saudita, Messico, India, Brasile, Sud Africa, Indonesia. Il comunicato finale è stato firmato da 80 Paesi su 92 presenti a vari gradi di rappresentazione. Gli altri Paesi che non compaiono sulla lista sono Armenia, Colombia, Vaticano (osservatore), Libia, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti. Nella lista dei firmatari compaiono invece le tre istituzioni di vertice dell’Unione europea ma non altre organizzazioni internazionali.
In una bozza in finalizzazione prima della firma del documento – che sollecita il completo scambio di prigionieri di guerra e il ritorno dei bambini deportati dalla Russia – si leggeva tra l’altro: “Riaffermiamo il nostro impegno – si legge in questa bozza di comunicato – ad astenerci dalla minaccia o l’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, i principi di sovranità, indipendenza e integrità territoriale di tutti gli Stati, inclusa l’Ucraina, all’interno dei loro confini riconosciuti a livello internazionale, comprese le acque territoriali, e la risoluzione delle controversie con mezzi pacifici come principi del diritto internazionale”.
Al centro dello sterminato tavolo dei partecipanti al Bürgenstock Resort di Lucerna resta la mancata partecipazione della Russia e dei Paesi che in questi due anni e 4 mesi si sono mostrati come possibili mediatori con l’Occidente. Per l’Ucraina va bene così perché è il “primo passo“, come ha detto ieri il presidente Volodymyr Zelensky e ha ribadito con altre parole oggi il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba: “I Paesi che non sono venuti al vertice vedono quello che sta accadendo: l’Ucraina sta costruendo consenso intorno alla formula di pace e questo ci permette di compiere enormi passi avanti verso una pace giusta, non a tutti i costi”. Secondo Kiev, insomma, qui a Lucerna si pongono le basi di un accordo che poi andrebbe sottoposto a Mosca e ai possibili Paesi negoziatori. “Il prossimo summit dovrebbe portare alla fine della guerra – continua Kuleba – e abbiamo bisogno che l’altra parte sia al tavolo: il nostro compito è portare l’Ucraina a quel tavolo il più forte possibile”. Kuleba dice che il comunicato è in fase di finalizzazione. Il testo recita tra l’altro che “la Carta delle Nazioni Unite, compresi i principi del rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità di tutti gli Stati, può e servirà come base per raggiungere una pace globale, giusta e duratura in Ucraina”. Posizioni ribadite anche da Zelensky: “Siamo in guerra, non abbiamo tempo, il lavoro per il prossimo vertice deve prendere mesi, non anni. Quando saremo pronti, ci sarà un nuovo vertice e alcuni Paesi si sono già offerti di ospitarlo”. Il presidente ucraino però sa benissimo che un ruolo chiave lo ricoprirà la Cina, principale partner di Mosca: “La Cina ha influenza politica sulla Russia, può aiutarci. Rispettiamo la Cina e la sua integrità territoriale, chiediamo che Pechino rispetti la nostra. Non abbiamo mai detto che la Cina è nostra nemica, abbiamo un solo nemico, Putin, e vorrei che la Cina fosse nostra amica”.
Ma per una serie di Paesi che pure sono in Svizzera l’assenza dei russi non è un elemento facilitatore, al contrario: il summit sarebbe “più orientato ai risultati” se la Russia avesse partecipato ai colloqui, afferma per esempio il ministro degli Esteri della Turchia Hakan Fidan che pure parla di “un barlume di speranza per cominciare”. E però “avrebbe potuto essere più orientato ai risultati” se vi avesse preso parte anche Mosca. “Crediamo che ci sia una crescente necessità di una strategia globale e inclusiva che utilizzi la diplomazia e i negoziati per garantire l’attuazione delle misure già adottate”, ha affermato il ministro turco citando i negoziati di Ankara sul grano come esempio di soluzione diplomatica in tempo di guerra. Ieri posizioni “scettiche” erano state espresse anche dai rappresentanti di Arabia Saudita e Kenya. “E’ essenziale sottolineare – aveva detto il ministro inviato da Riad – che ogni processo credibile richiederà la partecipazione della Russia”.
Certo, la situazione si complica anche per il fatto che negli ultimi giorni la linea di Mosca è stata quella di non riconoscere Zelensky come interlocutore legittimo. “Il presidente russo Vladimir Putin – ha ribadito oggi Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino – non rifiuta i negoziati con l’Ucraina, ma il loro esito deve essere approvato dal legittimo governo ucraino. Volodymyr Zelensky non appartiene a questa categoria”. I russi ne fanno proprio una questione formale “non è la persona con cui si può registrare un accordo per iscritto perché de jure questa registrazione sarà illegittima”. Dall’altra parte, però, Peskov si rivolge proprio a Zelensky: “Dovrebbe pensare all’offerta di pace di Putin perché la situazione militare a Kiev è peggiorata”. L’offerta di pace di Putin è riassunta nella cessione di 4 grandi regioni dell’Ucraina e lo stop all’ingresso nella Nato in cambio di un “cessate il fuoco”.