Gli stipendi sono aumentati molto meno dell’inflazione, viceversa gli affitti sono saliti di più. Così per i lavoratori dipendenti che vivono nei capoluoghi di provincia, i costi per la casa si mangiano una fetta sempre più consistente della busta paga. A fare i calcoli è Il Sole 24 Ore che prende in esame l’evoluzione dei canoni liberi tra il 2018 e il 2023. Nel giro di cinque anno il peso della rata sui redditi è salito, in media, dal 31,6% al 35,2%. Ma ci sono città come Firenze dove l’affitto porta via quasi la metà dello stipendio (46,5%), altre come Roma, Venezia o Bologna dove si rimane sopra al 40%. Va solo un po’meglio a Milano (37,5%). La situazione migliora invece a Genova (25,2%), Torino (26,6%) o Palermo (27,8%). A metà strada Napoli (31,7%) e Bari (31,3%).

I capoluoghi dove il rapporto tra valore dello stipendio e affitto è più favorevole sono invece Alessandria, Asti, Biella, Enna e Vercelli, dove si rimane tra il 17 e il 18%. In valori assoluti i canoni mensili medi più alti sono quelli di Milano (1.122 euro). Poi Firenze (967) e Roma (947 euro). Probabile che in queste città incida anche la diffusa presenza di appartamenti destinati ad affitti brevi, rivolti prevalentemente ai turisti. In generale nel 2018 la rata media di tutti i capoluoghi era di 615 euro mentre nel 2023 aveva raggiunto i 731 euro. Se avesse tenuto lo stesso passo dell’inflazione, calcola Il Sole 24 Ore, avrebbe dovuto fermarsi a 715 euro. Gli affitti più bassi si registrano a Caltanisetta (302 euro), Enna (304), Isernia (312) ed Asti (327).

Milano è anche una delle città dove l’incidenza del costo della casa sul reddito è salito di più nei cinque anni analizzati, con un incremento del 6,3%, lo stesso di Bologna e preceduto soltanto da Vicenza (+ 8,5%). Una ventina le città in cui il rapporto è migliorato, tra cui Ascoli, Campobasso, Imperia, Siracusa, Reggio Calabria e Udine. Un miglioramento che può dipendere sia da rate che si sono mosse poco o sono scese, sia da stipendi cresciuti in proporzione di più.

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