“La fraternità non conosce riposo”. La vita del prete cattolico ed ex partigiano francese Abbé Pierre è (stata) un moto inesausto per decenni di aiuto materiale per centinaia di migliaia di persone che non avevano di che sopravvivere. Difficile ricordare questa figura novecentesca tenacemente spirituale e profondamente materialistica senza scadere in una generica agiografia della bontà. Il regista Frederic Tellier con il film L’Abbé Pierre – une vie de combats (in anteprima italiana nei giorni scorsi al Biografilm Festival 2024 di Bologna) riesce ad evitare il santino, pardon, del lionese Henri Groues.
Il devoto francescano che diventò maquis antinazista nel Vercors croce al collo e armi in pugno, deputato del fu partito centrista MRP nel primissimo dopoguerra, folgorato infine sulla via di un messaggio caritatevole assoluto – un tetto e cibo per ogni indigente – fino a consumare ogni bene personale e fondare l’associazione Emmaus. A carte globali rimescolate dell’oggi è complicato comprendere il significato del concetto di “miseria” degli anni cinquanta. Una società che usciva dalla guerra e che continuava a presentare devastanti differenze di classe a cui si aggiungevano insormontabili difficoltà abitative legate anche ad inverni all’epoca talmente rigidi tanto da portare a morire di freddo bambini e adulti tra le strade di Parigi.
Il biopic di Tellier accumula un po’ troppe sfumature di senso nella prima mezz’ora, quasi che l’Abbè Pierre ancora giovinetto debba subito mostrare ogni sfaccettatura morale, ogni piega dell’emozione, ogni possibile segno di una astratta cristologia. Poi quando si arriva al post ’45, dopo il silenzio di fronte alla fucilazione di un partigiano traditore, dopo aver evitato le pallottole tedesche, il racconto di Tellier si sistema attorno all’alveo di un filo teso in profondità. È l’Abbé Pierre che materializza quella sua versione ipermaterialista modello teologia della liberazione, quel “fare di tutto per gli altri”, fino francescanamente spogliarsi dei propri beni. Tellier trova quindi in questa bruma anni cinquanta che ghiaccia i corpi, in questo grigiore periferico dei bordi della strada, tra quei resti di legna, ferro e mattoni che è la prima pionieristica sede di Emmaus, dove tutti i poveri senza speranza, anche gli assassini, trovano una carezza.
L’Abbé Pierre (interpretato con rabbioso misticismo, con ossuta penetrazione nella carne dal notevole Benjamin Lavernhe) diventa così una sorta di puro fustigatore delle ricchezza, un fulmine che si scaglia nelle coscienze dei benestanti: chi ha tanto doni a chi non ha nulla e lo faccia subito. Il religioso non si ferma di fronte a nulla, non si ferma di fronte ai ministri e non si ferma nemmeno di fronte alla possibilità di comunicare il proprio credo attraverso la potenzialità – siamo negli anni cinquanta – della radio. “Il fratello dei poveri”, “il provocatore di pace” occupa gradualmente l’intero quadro, l’intera narrazione. Quando addirittura un già maturo Charlie Chaplin lo incontra per donargli una cifra astronomica indirizzata ad Emmaus ricordando le sue origini da “vagabondo”, l’Abbè Pierre non ha un minimo scarto, non si emoziona nemmeno per un istante oltre la missione spirituale e materiale del suo esistere in terra, concentrandosi senza sosta su una sorta di apostolato della parola (i suoi discorsi sono tracce indelebili di storia della Francia), attorniato da disperati e redenti discepoli, oltre che dalla fedelissima Lucie Coutaz (interpeatata dalla regista Emmanuelle Bercot), partigiana anche lei, cofondatrice tuttofare per cinquant’anni di Emmaus.
“È stato un grande piacere impersonare un eroe con la sua teatralità nel modo di agire e trasmettere il suo messaggio di lotta, prolungando all’oggi le sue parole per provocare le coscienze e non abbassare gli occhi davanti alla miseria”, ha spiegato il protagonista Lavherne durante l’incontro con la stampa al Biografilm. “L’Abbè Pierre è stato sia una luce che un cuore che batte nei momenti di tempesta e ha dimostrato che la vita è più forte di qualsiasi difficoltà. Per me invece la maggiore difficoltà nell’interpretarlo è stata proprio evocarlo e non copiarlo, trasmettere le emozioni dei suoi discorsi”. L’Abbè Pierre è morto a 94 anni nel 2007 lasciando una vasta e rodata rete di solidarietà e aiuto ai poveri sempre sotto l’insegna di Emmaus.