Scompare per sempre un altro tassello della misteriosa vicenda di Emanuela Orlandi. Pochi giorni fa è venuto a mancare uno dei testimoni più importanti sul caso della cittadina vaticana sparita dal centro di Roma il 22 giugno del 1983 e mai più ritrovata. Si tratta di Maurizio Giorgetti che ha legato per primo la sua scomparsa alla banda della Magliana. Il suo primo appello risale al 2010, quando ancora non era stata rinvenuta la tomba di Enrico “Renatino” de Pedis, capo della fazione testaccina del gruppo criminale, nei sotterranei della Basilica di Sant’Apollinare. Giorgetti rilasciò delle dichiarazioni al programma televisivo “Chi l’ha visto” in merito alla “ragazza con la fascetta” e fu convocato in seguito dalla Procura. Ai magistrati romani rivelò di aver sentito parlare del rapimento della ragazza da due membri della banda ma le sue dichiarazioni non vennero ritenute attendibili dai magistrati. Mancavano riscontri materiali e testimoniali. L’uomo finì anche imputato per falsa testimonianza ma lui non si arrese e tentò in tutti i modi di portare avanti la sua ipotesi. Giorgetti arrivò anche a evadere i domiciliari per recarsi dai carabinieri a riferire ciò che riteneva di sapere su Emanuela Orlandi. Ha presentato esposti sul caso anche negli ultimi suoi anni di vita. Il titolare della seconda inchiesta sul caso Orlandi, il magistrato Giancarlo Capaldo, lo ha indicato come “completamente inaffidabile”.
Chi era Giorgetti?
Maurizio Giorgetti era vicino agli ambienti di estrema destra di Paolo Signorelli e Adriano Tilgher (Movimento Sociale, Ordine Nuovo). Gravitava intorno a quella zona grigia comune a crimine romano ed estremismo politico, in cui convivevano banditi e militanti. Fu lo stesso Capaldo a dichiarare all’epoca delle indagini: “Siamo Convinti che la banda della Magliana sappia che fine abbia fatto Emanuela Orlandi” (da “Repubblica” dell’8 ottobre 2010). Agli inquirenti, Giorgetti disse di aver ascoltato le conversazioni su Emanuela Orlandi al ristorante “Il Porto” di Lungotevere a Ripa e all’”Antica Pesa”, in due distinte occasioni. Fece i nomi degli interlocutori coinvolti: Giuseppe “Sergione” de Tomasi, che dalle indagini emerse come colui che si celava dietro al telefonista “Mario” e Angelo Cassani detto “er Ciletto”. Quest’ultimo, Cassani, fu tirato in ballo anche dall’amante di de Pedis, Sabrina Minardi che lo indicò come uno dei presunti responsabili del rapimento al procuratore Capaldo. Giorgetti riferì di aver sentito che de Pedis aveva in passato detto loro di aver partecipato al rapimento di una ragazza per recuperare del denaro appartenuto a Manlio Vitale, detto “Er ngappa”. Raccontò anche di essere stato, nel 1983, a cena con de Pedis e Franco Giuseppucci, altro membro di spicco della banda, pochi giorni prima del rapimento di Emanuela. Durante quella serata di 41 anni fa, sentì – ha poi dichiarato agli inquirenti durante la seconda inchiesta – i due banditi discutere di un appartamento vicino al Vaticano dove poter segregare la ragazza nei primi giorni della sua prigionia.
La morte
Giorgetti è deceduto nella sua casa di Soriano nel Cimino all’età di 70 anni. Con la sua dipartita svanisce la relativa possibilità di fare luce su uno degli innumerevoli misteri che caratterizzano quest’assurda vicenda. “Con la sua morte cala definitivamente il silenzio su qualche verità sul rapimento di Emanuela”, commenta Pietro Nicotera, l’avvocato che lo ha seguito negli ultimi, difficili, tempi. La sua scomparsa chiude un capitolo ma lascia aperte tante, troppe domande.