Diritti

Per le persone disabili trovare lavoro è sempre più difficile: “Le aziende non rispettano gli obblighi di assunzione. Troppo poche le sanzioni”

L’Italia non è un Paese per lavoratori con disabilità. Il numero di persone che si iscrivono al collocamento mirato scende, le assunzioni calano. Lavorare in ufficio, in fabbrica o in azienda con un collega o una collega con disabilità è sempre più raro. A certificarlo sono i dati dell’XI° Relazione annuale al Parlamento sullo stato di attuazione della legge del 1999 per il diritto al lavoro dei disabili, presentata dalla ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali Marina Elvira Calderone e realizzata insieme all’Istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche (Inapp). I numeri sono aggiornati al 2021, altro tasto dolente: “Con dati vecchi e imprecisi diventa più complesso poter intervenire con politiche efficaci e migliorare concretamente lo stato dell’arte. I lavoratori con disabilità sono gli ultimi tra gli ultimi”, commenta con ilfattoquotidiano.it Marino Bottà, direttore generale dell’Agenzia nazionale disabilità e lavoro (Andel) e coadiutore per l’inclusione lavorativa dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.

Parla di “numeri impietosi” e di “situazione drammatica” Alessandro Chiarini, presidente del Coordinamento nazionale famiglie con disabilità (Confad).“Dati che confermano nero su bianco quello che andiamo dicendo da anni: evidenziano una tendenza molto negativa che rende sempre più difficile l’autonomia e l’emancipazione attraverso il lavoro, soprattutto per le persone con grave disabilità”. Secondo l’Istat, in Italia solo il 20% delle persone con disabilità tra i 15 e 64 anni ha un impiego, a fronte della media Ue che si attesta a quota 50%.

Cosa prevede la legge – La legge 68/99 prevede il collocamento mirato delle persone con disabilità: consiste nell’offrire un’occupazione compatibile con le loro capacità e necessità. Si applica a tutte le aziende pubbliche e private con almeno 15 dipendenti, che devono rispettare specifici obblighi di assunzione. Nel dettaglio, in quelle con più di 50 dipendenti almeno il 7% deve essere costituito da persone disabili, in quelle tra i 36 e i 50 vanno assunte almeno 2 persone disabili e tra i 15 e i 35 almeno una persona disabile.

Multe per i trasgressori – Sono previste sanzioni in caso di violazione. Ad esempio, il mancato invio del prospetto informativo annuale è punito con multa da 702,43 euro più 34,02 euro per ogni giorno di ritardo. E la mancata assunzione di lavoratori appartenenti alle categorie protette costa 196,05 al giorno per ogni disabile non assunto. Gli introiti vanno versati al Fondo regionale per l’occupazione dei disabili. L’effettiva applicazione varia a seconda delle iniziative intraprese dalle singole regioni. Le verifiche su dichiarazioni rese dai datori di lavoro sono state solo 82.017 nel 2021 e 95mila nel 2022, suddivise a livello geografico tra Nord Est (28%), Nord Ovest (27%), Centro (19%) e Sud-Isole 25 (%). Irrisorio il numero di sanzioni per mancata copertura della quota d’obbligo d’assunzione certificate dall’Ispettorato nazionale del lavoro sono bassissime: 327 nel 2020, solo 141. Ma il dato è incompleto: “Il numero di sanzioni comminate per violazione della Legge 68/99 da parte delle aziende non è pubblicamente disponibile, i dati non sono centralizzati e vengono raccolti da diverse autorità: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ispettorati del lavoro, Regioni”, spiega Chiarini. “C’è ancora molto da fare per garantire il rispetto delle norme in Italia”.

Il report del ministero del Lavoro – I risultati sono fotografati nella Relazione. Gli iscritti totali al collocamento mirato, che erano 847.708 del 2019, con la pandemia sono progressivamente diminuiti: 794.937 nel 2020, 774.507 del 2021. La presenza di donne iscritte è inferiore agli uomini. Le iscrizioni nelle regioni del Sud e delle Isole rappresentano una percentuale intorno al 55% del totale, con liste di attesa lunghissime prima di ricevere, forse, la prima chiamata per un colloquio di lavoro. Il Centro Italia raccoglie circa il 18% delle iscrizioni, seguito dal Nord Ovest e Nord Est, queste ultime due macro aree sono quelle dove trovano con più frequenza una occupazione. Secondo il report il principali settore in cui si concentrano le quote di riserva è l‘industria, seguita da pubblica amministrazione, istruzione e sanità. Al terzo posto l’insieme di trasporti, comunicazioni, attività finanziarie e latri servizi. Le Regioni dove ci sono più posti di lavoro “riservati” alle persone con disabilità sono la Lombardia e a seguire Veneto, Emilia-Romagna, Lazio, Piemonte.

E le assunzioni? Se nel 2019 erano oltre 58mila, nel 2021 i nuovi contratti di lavoro sono scesi di circa un terzo a quota 41mila. La tipologia contrattuale prevalente è peraltro quella a tempo determinato (59% nel 2020-21), mentre il ricorso al tempo indeterminato si ferma a circa il 25% delle nuove assunzioni. Il report non rileva significative distinzioni tra datori di lavoro pubblici e privati.

Le analisi e le proposte – Bottà da anni sostiene che l’attuale sistema non è più efficace e sta ulteriormente allontanando la possibilità di trovare un impiego soprattutto per le donne non autosufficienti e per le persone con grave disabilità intellettiva e cognitiva. “È miope, impreparato e inadeguato, fatte le dovute rare eccezioni”, dichiara l’esperto. “Il partito trasversale dei sostenitori dell’attuale collocamento mirato, nei partiti e nelle parti sociali, obietterà che i dati sono dovuti alla pandemia. E quindi andremo avanti così attribuendo, di anno in anno, la responsabilità del fallimento alla crisi economica, al Covid, alla carenza di personale, senza mai risolvere il problema alla radice attuando una radicale riforma del settore”. La legge era “buona”, ma “le realtà e le dinamiche del mondo del lavoro si sono trasformate nel tempo”. Non aiuta il fatto che non ci siano dati su “ore lavorate, durata dei contratti, rinnovi contrattuali, ricollocazioni”. E nel settore pubblico? “Ci sono ampie criticità anche qui. In passato i ministri Madia e Brunetta hanno provato a cambiare qualche cosa, ma non ci sono riusciti”, risponde. “I dati statistici che riguardano i lavoratori disabili sono perennemente datati, inattendibili e manipolabili a piacimento dagli interessati, che non consentono alcuna forma di valutazione e programmazione. Infine abbiamo una ministra del Lavoro che si è tenuta le competenze in materia e che in due anni di governo non ha pronunciato una sola parola in merito. Il mio lavoro all’interno dell’Osservatorio nazionale sulle disabilità serve anche a puntare i riflettori su questo”, dice al Fatto.it.

Il presidente di Confad aggiunge che la scarsa realizzazione dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità fa sì che le famiglie si sentano “dimenticate” e non vedano un futuro positivo per i loro cari. La narrazione non aiuta: “I grandi mezzi di comunicazione continuano ad evidenziare i relativi progressi sui dati dell’occupazione generale, ma si dimentica totalmente di evidenziare invece il fenomeno di segno contrario che caratterizza le persone con disabilità”. Come fare a tradurre in pratica le leggi che prescrivono impegni e obblighi ma restano lettera morta? “Va sviluppato il collocamento mirato, che ad oggi non è in grado di assicurare risultati soddisfacenti; è necessario incentivare la semplificazione delle procedure di accesso al lavoro, oltre alla formazione e qualificazione professionali anche di chi si deve occupare del collocamento di queste persone”. Chiarini termina sottolineando l’importanza di creare una rete virtuosa. “Deve migliorare decisamente la collaborazione tra aziende, istituzioni e sindacati per creare un sistema integrato di servizi e misure di supporto all’inserimento e mantenimento al lavoro delle persone con disabilità”.

La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, legge dello Stato dal 2009, all’articolo 27 afferma che “deve essere riconoscono il diritto delle persone con disabilità al lavoro, su base di parità con gli altri; ciò include il diritto all’opportunità di mantenersi attraverso il lavoro che esse scelgono o accettano liberamente in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, accessibile e inclusivo”.