di Giovanni Ceriani
Il nuovo corso del Pd di Elly Schlein, in linea col vecchio corso del Pd di Veltroni, è tutto giocato attorno al principio prettamente a-conflittuale e governamentale spacciato per “inclusivo” e “pluralista”. Tale forma estrema di spoliticizzazione del conflitto, come forma di composizione degli interessi per pura addizione, di fatto è una finzione (e quindi farsa) – oggi elettorale, domani politica – visto che certifica la vittoria della legge del più forte, cioè dei gruppi di interesse e portatori di voti.
In questa assenza di decisione e di scelta tra gruppi di interesse in campo (i famosi cacicchi) e pure tra posizionamenti politici anche opposti (dal sostegno incondizionato alla Nato addirittura alla proposta di scioglimento della Nato), vige (e vince) la regola del più forte. È qui, nella vittoria del più forte, che, a dispetto degli slogan e delle frasette elettorali usuali, si delinea il vero volto di un partito, la sua vera profilazione politica. E questa la possiamo vedere chiarissima oggi passando in rassegna la biografia politica degli eletti nel Pd e la quantità di preferenze da loro ricevute.
Questo di oggi è il vero profilo del partito e anticipazione della sua vera politica futura. Su guerra, Jobs act, salario minimo, armi, ambiente, fiscal compact: è qui che si svela ora il vero profilo del Pd eletto, cioè del Pd vigente. E qui sbalordisce la radicale discontinuità e smentita del Pd, a questo punto solo virtuale, cioè elettorale, di Schlein.
Presentatosi come erede dell’Agenda Conte, il Pd di Schlein esce come erede e rianimatore dell’agenda Draghi, cioè il Pd di Letta prima e di Gentiloni domani. Ma lo avevamo già capito quando si è scelto di non mettere il nome di Schlein nel simbolo perché sarebbe stato troppo “divisivo”, cioè troppo “contiano”. E allora ecco il falso e falsificante ecumenismo di facciata, fatto passare per pluralismo e democrazia. Macché pluralismo e democrazia: questo è il trionfo del pilota automatico o “algoritmo” di Gentiloni, che si impone come morte della politica (e della sinistra). Ma allora anche macché bipolarismo: è solo un gioco di facciata che nasconde il vero bipolarismo, cioè quello tra il partito trasversale degli affari e dei poteri (forti) e i 5stelle di Conte, con le loro battaglie antisistema.
Le parole di Schlein su armi, Jobs act, ambiente, multilateralismo risuonano già come echi lontani, di un qualcosa che di fatto non è mai stato, mai realmente entrato nella decisionalità politica di quel partito e seguente ri-gerarchizzazione di classe politica. Inizia la fase della sua permanenza come copertura retorica, simpatica, “a modo”, ma sempre meno politica appunto, nel più alto significato del termine di capacità di scegliere, dividere, tagliare e prendere posizione.
Per questo il M5S dell’apparente perdita dei consensi mostra oggi una coerenza e “divisività” della politica che va difesa e conservata non solo per il bene delle ragioni politiche e sociali tutelate da quel partito, ma pure per garantire un senso alla stessa Schlein. Finiti i 5stelle infatti finirà il senso di traghettatrice di Schlein che potrà essere finalmente rimossa, consegnando il partito al suo, di fatto, reggente europeo di oggi, cioè Gentiloni. Oggi la sua squadra è tutta bella pronta ad andare a Bruxelles. Domani ritornerà a Roma.
Per questo il senso dell’azione politica 5stelle rimane elemento essenziale di sopravvivenza e difesa di quei valori e di quelle battaglie, oggi semplicemente offuscate da una enorme operazione di marketing elettorale che le ha rese proprietà di tutti gli altri partiti, tranne che dei 5stelle stessi. Ancora una volta il popolo della sinistra sarà chiamato a scegliere se stare dalla parte del centrismo e di un Pd che prende voti a sinistra per fare cose di destra, o dalla parte di Conte e di un campo giusto aperto ma irremovibile sui punti fermi della pace, legalità, giustizia sociale, ambiente, lavoro, sanità. Sinistra è chi sinistra fa.