L’analisi della Banca Centrale Europea è netta: l’inflazione nel vecchio continente è alta anche a causa della crescita dei salari. Un taglio consistente dei tassi d’interesse può aspettare ancora. Poiché i salari italiani non crescono in termini reali, risultando fermi da oltre 20 anni tanto da diventare tra i più bassi d’Europa, il sindacato italiano deve affrontare un nemico inedito, la concorrenza dei salari dei colleghi europei.
Ora dovrebbe chiedersi se continuare con una strategia di minimizzazione contrattuale, portandolo ad essere prevalentemente un sindacato dei servizi (CAF, patronato ecc.) e quindi, tra i pochi in Europa, con scarsa efficacia contrattuale (aggravata ora da un contesto post pandemia e di guerre alle porte).
I salari sarebbero cresciuti con la scala mobile, cioè il meccanismo automatico che proteggeva i salari dal costo della vita messa in soffitta. E’ vero che era uno strumento di tutela che escludeva ogni collegamento alla produttività delle imprese e tanto meno dell’amministrazione pubblica. Ora, per evitare di continuare a subire l’inflazione da salari comunitari in crescita e da tariffe amministrate (luce, gas, acqua, autostrade, trasporti urbani e ferrovie in aumento spesso oltre il tasso d’inflazione interno), richiede delle risposte innovative se si vogliono rilanciare i salari. La produttività complessiva italiana continua a rimanere bassa.
Secondo il Cresme la media è di 36,51 euro l’ora. Il manifatturiero, dopo il piano industria 4.0, ha toccato il modesto valore di 37,37 euro l’ora, mentre, ad affondare definitivamente il sistema, ci sono le costruzioni nonostante l’enorme sussidio del bonus 110% edilizio e le grandi opere avviate nel 2022. La produttività oraria di appena 26 euro (valore aggiunto per ora lavorata). Commercio 28,91 e chiude il turismo con il valore più basso di 20,23 euro per ora lavorata.
La media generale dell’economia, l’anno passato, si è attestata sui 36,5 euro. È facile prevedere che il lavoro sarà il fattore produttivo destinato ancora per lungo tempo ad essere sfavorito perché le possibilità di crescita dei salari saranno solamente gestite dalle imprese più innovative della finanza e delle tecnologie, dove maggiormente manca al lavoro una sua attiva azione di rappresentanza con la conseguente riduzione della contrattazione decentrata e indebolimento delle strutture sindacali di impresa. I salari fermi da tempo e la ripresa dell’inflazione faranno perpetuare ancora le basse retribuzioni. Al momento la crescita dei sindacati di base (il cui merito è quello di denunciare scandalose condizioni di lavoro e di sfruttamento nella logistica e nel commercio), rispetto a quelli confederali non sembra in grado di cambiare la tendenza.
L’indebolimento dell’assetto produttivo, anche grazie ad un’occupazione precaria e a un basso valore aggiunto rappresentato dal terziario, è un’altra causa della debolezza dei processi di crescita, riducendo i salari perché incapaci di generare la ricchezza necessaria per il rinnovo dei contratti collettivi.
Il Patto di Concertazione del luglio 1993 (Governo Ciampi), basato su una politica dei salari anti-inflazionistica e su obiettivi comuni mai raggiunti, di risanare le disfunzioni strutturali all’origine della crisi, non ha funzionato nonostante siano passati 30 anni. Globalizzazione, instabilità politica, rafforzamento delle corporazioni, crescita delle rendite di posizione monopoliste e crescita del debito pubblico non hanno portato ai risultati voluti, anzi sono stati da freno allo sviluppo.
Basso sviluppo, precarizzazione, alta flessibilità del lavoro hanno impedito la crescita dei salari. L’impegno riformistico rimase sulla carta, mentre il risultato principale di tale stagione fu il progressivo contenimento dell’inflazione, grazie soprattutto al contributo della moderazione salariale, l’abolizione della scala mobile e alla flessibilizzazione dei rapporti di lavoro.
Visto il periodo difficile che il Paese ha davanti e che, a differenza degli altri, ha già messo le mani avanti sui costi delle politiche di sostenibilità ambientale che si dovranno intraprendere e che sono viste come un costo e non come una opportunità, è il caso di chiedersi: che fare per uscire da questo stallo? Se nelle prossime scadenze contrattuali non ci sarà un salto salariale adeguato, il sindacato potrebbe mettere sul piatto il ripristino della scala mobile.