È muro contro muro sul rinnovo del contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici. Federmeccanica e Assistal da una parte e i sindacati dall’altra non trovano la quadra su salario, welfare e orario di lavoro. Una distanza che per i sindacati “resta siderale”, perché Federmeccanica continua a dire no sostenendo che ci sono già stati “adeguamenti senza precedenti, pari a 260 euro al livello C3″ e, a partire dal giugno 2021, “l’adeguamento complessivo è stato pari a 310 euro sempre al livello C3”.
Dall’altra, fa notare la Fiom-Cgil attraverso uno studio su un campione di 1,5 milioni di aziende del settore, tra il 2019 e il 2022 sono cresciuti gli utili netti (da 15,1 a 26,2 miliardi) ed è invece diminuita la spesa per il personale, calando da 66,2 a 58,9 miliardi di euro. “I profitti delle imprese sono cresciuti più dei salari delle lavoratrici e dei lavoratori fermo restando il ruolo di tutela del potere d’acquisto negli ultimi due anni. Rispetto agli altri Paesi europei il lavoro compensa problemi per le imprese di sistema”, sostengono i metalmeccanici della Cgil.
Alla luce di questi numeri, aggiunge la Fiom, la “richiesta avanzata nella piattaforma riguardo all’aumento del salario di 280 euro mensili al livello C3 è assolutamente sostenibile” e chiede un intervento legislativo del governo per la detassazione degli aumenti, avanzando l’ipotesi di “un’azione congiunta” con le associazioni datoriali. Ma il direttore generale di Federmeccanica, Stefano Franchi, ribatte: “I numeri parlano da soli”. Il contratto ha “dato risposte tempestive e sostanziose, determinando un salario di garanzia di assoluto livello”.
Per Franchi, il modello attuale “funziona” e conferma che “bisogna riconoscere degli adeguamenti legati all’andamento dell’inflazione”, come avverrà proprio dagli stipendi di questo mese. “Per il resto – conclude – dobbiamo generare ricchezza nelle aziende e poi distribuirla”. Una sostanziale chiusura alle richieste dei sindacati, che lamentano come non si intravedano spiragli positivi anche sulla riduzione dell’orario di lavoro.
Per il segretario generale della Fiom-Cgil, Michele De Palma: “I no di Federmeccanica e Assistal non cambiano le richieste sull’aumento del salario e gli altri elementi economici come sulla sperimentazione della riduzione dell’orario. Il contratto collettivo nazionale di lavoro rappresenta un elemento di solidarietà tra le lavoratrici e i lavoratori, per noi è la sfida fondamentale per difendere il potere d’acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori, per migliorare condizioni di lavoro e diritti e rilanciare la centralità dell’industria nel futuro del nostro Paese”.
Anche la Uilm certifica come la “trattativa sia iniziata in salita”, ma rimarca il segretario generale Rocco Palombella, “noi non ci arrendiamo” perché “le nostre richieste sono giuste e non arretreremo al primo ostacolo”. Federmeccanica e Assistal, aggiunge, “devono sapere che andremo avanti, con il sostegno convinto dei nostri lavoratori che hanno approvato la piattaforma contrattuale di Fim Fiom Uilm con il 97% dei consensi”. Per il leader dei metalmeccanici Uil, la richiesta di 280 euro di incremento salariale nel triennio al livello medio e la riduzione dell’orario di lavoro “non sono negoziabili”.
Più possibilista su un accordo è Ferdinando Uliano, segretario della Fim: “Nonostante le distanze che oggi registriamo sul fronte salariale, bisogna presidiare il tavolo negoziale. Abbiamo davanti un percorso lungo, dobbiamo lavorare insieme alla ricerca di soluzioni che avvicinino le nostre posizioni, come abbiamo fatto in un momento difficile come il contratto rinnovato in piena pandemia”. Uliano ha fatto notare come la tassazione, sia a livello centrale, che locale con le aliquote marginali, erodono di quasi il 60% gli aumenti contrattuali. Insieme al fiscal drag queste erodono la tenuta del potere d’acquisto dei salari. Su questo – dice – serve su uno sforzo congiunto che punti a far detassare gli aumenti contrattuali.