“L’impressione che si ha è che il giunto non andava mai sostituito. In Rfi questo fenomeno faceva parte di una strategia: il giunto si cambia se è rotto, se non è rotto si tira avanti e questa è stata una cosa che è andata avanti da sempre, nella convinzione errata che la rottura del giunto non determinasse lo svio”. È uno dei passaggi della requisitoria dei pm di Milano, Leonardo Lesti e Maura Ripamonti, nel processo sull’incidente di Pioltello, nel Milanese, nel quale il 25 gennaio 2018, in seguito al deragliamento del regionale Cremona-Milano Porta Garibaldi, morirono tre persone (Ida Maddalena Milanesi, Pierangela Tadini e Alessandra Giuseppina Pirri) e oltre 200 rimasero ferite. Tra i nove imputati ci sono l’ex ad, ex dirigenti, dipendenti e tecnici di Rfi, anch’essa imputata per la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti.

Tutti imputati, secondo l’accusa, per “le condotte omissive – ha spiegato la Procura – che hanno causato, non impedendola, questa rottura del giunto”. Il deragliamento, stando alle indagini, avvenne a causa della rottura di uno spezzone di rotaia di 23 centimetri nel cosiddetto “punto zero” sopra un giunto in pessime condizioni. Per la Procura quello di Pioltello fu un incidente causato da una lunga serie di “omissioni” nella “manutenzione” e nella “sicurezza”, messe in atto solo per risparmiare. Il problema del giunto era noto ed era stato segnalato già dall’estate 2017, ma si intervenne solo con una zeppa di legno “tampone” sotto il giunto ammalorato.

La rottura del giunto ammalorato e mai sostituito – “In nessuna parte della procedura né nel vademecum – ha spiegato il pm, facendo riferimento a regole che erano state fissate in Rfi dal 2016 – era prevista la sostituzione del giunto immediata, ma al massimo tempestiva”. Il pm ha elencato una serie di criticità nelle procedure per la gestione dei giunti ammalorati, come quello che si ruppe causando l’incidente. Nelle procedure, ha detto Lesti, non venivano “indicati termini perentori per la sostituzione del giunto, non c’era obbligatorietà sulla sostituzione del giunto, ma si parlava solo di tempestività”. Il “treno 10452, fino al momento del deragliamento, aveva un impianto frenante perfettamente funzionante”, “possiamo dire con certezza che l’incidente avvenne per la rottura del giunto” sulla rotaia e che vanno analizzate le “responsabilità e i comportamenti che causalmente, non avendo provveduto alla corretta manutenzione del giunto, possono ritenersi condizione dell’evento”, ossia del disastro ferroviario. Per la Procura, c’era “piena consapevolezza del problema e dei rimedi per risolverlo e invece il problema non viene risolto”. A Vignate un giunto “a rischio rottura venne sostituito dopo l’incidente di Pioltello e anche quello prima era supportato dalla famosa zeppa” di legno. I giunti, ha concluso, “venivano individuati e segnalati, ma non venivano sostituiti fino a che non si rompevano”.

I “giunti nuovi” erano “ancora lì quella mattina quando arrivai sul posto” per l’incidente il 25 gennaio 2018, ma quello vecchio di dieci anni e ammalorato non era mai stato sostituito ha spiegato la pm Maura Ripamonti nella seconda parte della requisitoria. La pm ha ricostruito, anche parlando dell’attività dei consulenti della Procura, che il problema al giunto, che si ruppe e causò il disastro, era noto a Rfi “dalla primavera-estate del 2017”. A settembre “ci fu un sopralluogo sul giunto da parte di due operanti”. Il 7 dicembre si stabilì di “portare un giunto nuovo sul posto e nella notte tra il 18 e il 19 dicembre si fece l’operazione di trasporto dei giunti nuovi”. Tutti erano convinti “che prima di Natale – ha spiegato la pm – sarebbe arrivata la ditta per sostituire giunti, ma la ditta non venne e quel giunto cominciava a preoccupare, soprattutto Ernesto Salvatore (ha patteggiato, ndr), un vecchio ferroviere con esperienza e che tutte le settimane mandò allora gli operai a fare sopralluoghi”. Allo stesso tempo “tutti dicevano, però, che niente faceva pensare che quel giunto si sarebbe rotto e invece si ruppe”. Fu un “ammaloramento progressivo”, secondo la pm, “coerente con quello che era stato segnalato sin dalla primavera-estate del 2017”. Si fece “la rincalzatura”, anche con la zeppa di legno, “perché si era abbassato, ma la rincalzatura non si può fare all’infinito”.

“La manutenzione ridotta per far passare più treni” – Il “problema centrale di questo processo” è “quello della circolazione, di una linea trafficata per treni veloci e ciò ha portato alla compressione degli spazi manutentivi”. C’è “il paradosso che aumenta lo stress della linea e si riduce lo spazio manutentivo, ci sono sempre meno intervalli per fare manutenzione, perché per ogni treno che salta la società rischia di pagare le penali” ha spiegato la pm di Milano Maura Ripamonti in un altro passaggio della lunga requisitoria. La pm ha parlato anche di una “situazione di carenza di organico, di formazione e di materiale per la manutenzione e, dunque, si ricorreva a ditte esterne”. La stessa pm, in sostanza, ha spiegato a più riprese che Rfi e gli imputati hanno cercato nel processo di scaricare le responsabilità sugli operai manutentori. “Hanno detto che hanno sbagliato e che non hanno bene interpretato il vademecum e che dovevano interrompere la circolazione”, ha chiarito. A “smentire” Marco Albanesi, uno degli imputati, però, “è lo stesso Albanesi che ci dice che la lavorazione era stata programmata per un mese dopo l’incidente, ci dice che aveva insistito per un intervento per la sostituzione del giunto”. E ancora: “Lo sapete chi è la prima persona che arriva al ‘punto zero’ quella mattina del disastro? È Marco Albanesi – ha detto la pm – prima della polizia, che arriva e fa le fotografie. La prima persona che ha capito cosa fosse successo. Come si può pensare che potesse ignorare quelle segnalazioni?”. Gli operai, infatti, “avevano chiesto la sostituzione di quel giunto da mesi”.

In passato per il disastro ha già patteggiato a 4 anni Ernesto Salvatore, allora responsabile del Nucleo Manutentivo Lavori di Treviglio di Rfi. L’ex ad Gentile nell’esame in aula si era difeso così: “L’amministratore delegato ha dei compiti che sono suoi ben precisi, ma non entra dal punto di vista organizzativo nella gestione del rischio, perché la gestione di queste materie condivisa potrebbe portare ad una ambiguità sulle scelte”.

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