“Ho alzato lo sguardo verso il cielo stellato sopra lo stadio Olimpico: ho ripensato a tutto quello che ho vissuto per essere lì, mi sono guardato attorno per capire dove mi trovassi realmente. Era tutto vero”. Un’istantanea indelebile, seguita da un pianto liberatorio in mezzo alla pista, con la bandiera tricolore sulle spalle. La carriera di Pietro Arese è “un treno nella nebbia“. Lui lo spiega così: “So di essere su un bellissimo binario che mi sta portando verso qualcosa di speciale. Non so dove arriverò ma è emozionante vivere il percorso e assaporare ogni momento”, racconta il vincitore della medaglia di bronzo nei 1500 metri – agli Europei di atletica di Roma – nell’intervista rilasciata a ‘ilfattoquotidiano.it’. Una metafora che racchiude sacrifici, obiettivi raggiunti e sogni da alimentare. Cresciuto a pane e Bolt, con la famiglia al centro di tutto: dal quel 51esimo posto fino alle partite a ping pong a casa della nonna. Il valore della sconfitta e il mondo della meditazione. Pietro Arese è anche questo. La passione per il pianoforte e un sogno nel cassetto, quello di poter diventare un giorno giornalista sportivo. E poi c’è anche un’Olimpiade da vivere in “modalità spugna”.

Mattarella e la spinta dell’Olimpico
“Sono convinto al cento per cento che se l’Europeo non fosse stato a Roma io sarei arrivato almeno quarto o quinto: negli ultimi venti metri le energie erano finite, sono stato spinto dal tifo dell’Olimpico. Non ce l’avrei mai fatta senza di loro“. Arese sintetizza così la sua medaglia agli Europei: i tifosi dell’Olimpico sono stati decisivi. Gli stessi che lo rendono orgoglioso e che lo hanno ringraziato sui social: “Rendersi conto di essere diventato un punto di riferimento per i più piccoli è impagabile”. E negli ultimi mesi, non è stato l’unico: il movimento dell’atletica è un esempio per tutti. Ma qual è il segreto del loro exploit azzurro? La gioia di stare insieme e di condividere un’avventura. “Quella odierna la chiamo ‘generazione Baldini‘, ovvero quelli nati dal 1996 al 2003. Sotto la sua guida, Stefano (Baldini, ndr) è stato in grado di riuscire a creare un gruppo, e non solo un insieme di atleti. Ci vogliamo bene tra di noi e ci incitiamo l’uno con l’altro. L’unione e l’amicizia sono il nostro segreto”. I risultati sono una piacevole conseguenza.

Alle emozioni più pure, Arese si lascia andare anche a un simpatico siparietto con Sergio Mattarella. L’incontro tra due presidenti? Ecco il motivo: “Mi piace sdrammatizzare un po’ le situazioni formali, senza rientrare rientrare chiaramente nella cafonaggine. Al presidente Mattarella ho detto: ‘Devo confessarle un segreto: i miei compagni di nazionale mi chiamano Il presidente‘. Lui si è messo a ridere ed è finita lì: è stato un bel momento”.

Arese: “Una passione nata quasi per caso: dalle corse campestri al bronzo europeo”
Si diceva del percorso, una carriera costruita passo dopo passo. Spingersi oltre, spronato da quella deludente (seppur inconsapevole) corsa campestre: “Nel mio primo campionato italiano di corsa campestre under 16 arrivai 51esimo. Ogni anno mi sono sempre dato un obiettivo diverso per poter continuare a migliorare: oggi, tutti quei chilometri sotto il sole o al freddo tagliente durante il mio percorso di studi sono stati ripagati“. Una passione, quella per l’atletica e la corsa, nata quasi per caso. Spinto dalla curiosità e dalla volontà di mettersi in gioco. “Mi è sempre piaciuto sperimentare nello sport: l‘atletica era uno dei pochi che mi mancava. Avevo la curiosità di toccare la pista e capire che consistenza avesse il tartan“. Da quel momento, la carriera e la vita di Arese ha trovato il binario giusto. Due ori (a Venaria Reale e a Chorzow, in Polonia) e due bronzi. Nel mezzo, il merito di essere il primatista italiano nei 1500 metri piani con il tempo di 3’32″13 – ottenuto il 30 maggio 2024 – migliorando un record che resisteva da ben 34 anni.

Quelle partite a ping pong…
‘Nella tua vita troverai qualcuno che un giorno ti arriverà davanti’: tra una partita e l’altra di ping pong con la madre, l’insegnamento di una vita. “Non sempre mi faceva vincere, ha voluto farmi capire il valore della sconfitta“. I suoi genitori sono il punto fermo. E la dedica della medaglia di bronzo non può che essere per loro: “È grazie a loro se sono l’atleta e soprattutto la persona di oggi, mi hanno costruito delle basi solide”.

“L’aspetto mentale nel mondo occidentale è ancora un tabù”
Immagina allentarti tutto l’anno per spendere ogni energia (fisica e mentale) in una gara di pochissimi minuti. Il paradosso di una disciplina tanto emozionante quanto tremendamente pratica e concreta, che non permette errori. La preparazione mentale per Pietro Arese è fondamentale: “Quando scendi in pista sei solo tu e i tuoi avversari. Bisogna imparare a gestire l’ansia da prestazione con sé stessi, è un lavoro che parte da lontano. Io ho iniziato a fare un percorso di meditazione da ormai quasi dieci anni. Ho iniziato a lavorare con la mia attuale psicologa sportiva Maria Chiara Crippa da circa sei anni: purtroppo, per il mondo occidentale l’aspetto mentale è ancora un tabù“. Una consapevolezza tale che non lascia spazio a piccoli riti scaramantici: “Ho cercato di abolirli tutti. Spesso mi porto dietro un pupazzo portafortuna di Mandalorian: lui è sempre presente ma se dovessi dimenticarlo non ne farei un dramma”.

La stagione magica di Pietro Arese, però, non è ancora conclusa. C’è ancora in programma un soggiorno a Parigi che significa ‘Olimpiade‘. “Voglio godermi l’avventura ma in modo intelligente. Sarà l’esperienza in cui potrò imparare sicuramente più cose, sotto ogni aspetto. L’obiettivo minimo è raggiungere la finale: non sarà facile, c’è una densità di atleti di altissimo livello. Poi si vedrà”. Alle sue spalle i sacrifici di un’atleta, all’orizzonte il proseguo di una carriera che può anche regalare tante soddisfazioni. Pietro Arese è l’ennesima bella conferma di una generazione già entrata nella storia dell’atletica.

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