Nessuna intesa: è stallo a Bruxelles sulle nomine europee. Il primo euroconclave chiamato a scegliere i vertici nella nuova legislatura si è concluso con un nulla di fatto. Nessuna decisione formale era prevista, questo è vero, però ci si aspettava un accordo quantomeno di massima sullo schema: prima dell’incontro, infatti, sembrava sicura la strada che portava diretta a una rapida riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione. Invece le trattative tra i leader Ue si sono arenate, non tanto sul suo nome, ma sul pacchetto dei top jobs e la loro ripartizione politica. “Abbiamo una direzione giusta ma in questo momento non c’è accordo”, ha detto il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel al termine del vertice notturno tra i leader. “È nostro dovere concludere entro la fine del mese”, ha poi rassicurato.

Lo scenario di partenza è il seguente: un bis alla Commissione europea di Ursula von der Leyen, candidata principale del Ppe, l’ex premier portoghese socialista Antonio Costa alla presidenza del Consiglio europeo e l’Alto rappresentante per la politica estera alla liberale premier estone Kaja Kallas. La conferma di Roberta Metsola al Parlamento – che però sceglie in autonomia – completerebbe il quadro. La cena tra i leader doveva essere solo una prima occasione per scoprire le carte e confrontarsi, in attesa di prendere le decisioni al Consiglio europeo informale della prossima settimana, del 27 e 28 giugno. “È stata una buona conversazione che va nella giusta direzione” ma “lo scopo della cena non era prendere una decisione”, ha rimarcato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel uscendo dal vertice. Tutto rimandato tra dieci giorni dunque. “Ora dobbiamo lasciar marinare le cose”, ha commentato il presidente francese Emmanuel Macron aggiungendo di ritenere l’accordo finale “vicino”. Macron ha tuttavia sottolineato che l’intesa potrebbe non arrivare prima delle elezioni francesi (che si terranno il 30 giugno e il 7 luglio). “Non è comunque il nostro obiettivo”, ha poi assicurato.

A quanto pare, il Ppe, forte della sua vittoria, avrebbe chiesto troppo creando dissidi tra gli altri. La base di partenza è comunque la maggioranza uscente tra popolari, socialisti e liberali. Tuona il premier Viktor Orban, che prima della cena aveva incontrato Giorgia Meloni nell’hotel Amigo: “Oggi a Bruxelles la volontà del popolo europeo è stata ignorata. Il risultato delle elezioni europee è chiaro: i partiti di destra si sono rafforzati, la sinistra e i liberali hanno perso terreno – ha scritto -. Il Ppe, invece, invece di ascoltare gli elettori, alla fine si è alleato con i socialisti e i liberali: oggi hanno stretto un accordo e si sono spartiti i vertici dell’Ue”.

La prima pedina da sistemare è la presidenza della Commissione, da scegliere a maggioranza qualificata. Von der Leyen ha dalla sua 13 capi di Stato e di governo della famiglia popolare. La nomina deve passare per il voto – segreto – al Parlamento europeo. Partendo dalle forze che compongono l’attuale maggioranza – popolari, socialisti e liberali – c’è già una maggioranza di 406 voti, su 361 necessari. Il punto è se allargare la maggioranza a Fratelli d’Italia. L’orientamento generale per ora è ripartire dalla coalizione consolidata delle tre forze tradizionali. Lo dice chiaramente il cancelliere socialista Olaf Scholz, secondo cui “l’obiettivo è raggiungere rapidamente una soluzione costruttiva in Parlamento”. “Quello che deve essere chiaro – ribadisce – è che il Parlamento non deve sostenere una presidenza della Commissione che si basa su partiti di destra e populisti di destra. C’è una maggioranza stabile delle piattaforme politiche che finora hanno collaborato a stretto contatto in Parlamento”.

Anche il premier polacco, del Ppe, Donald Tusk, dice che c’è “una maggioranza nel Parlamento composta dai partiti orientati al centro, come i socialdemocratici, il Ppe, i liberali. Penso che sia più che sufficiente per organizzare l’intero nuovo panorama, inclusa l’elezione del Presidente della Commissione”. Per il ministro Antonio Tajani, vicepresidente del Ppe, “non si possono chiudere le porte ai Conservatori perché una realtà così variegata come il Parlamento europeo non può chiudersi in una maggioranza a tre, bisogna mantenere il dialogo“. A differenza di cinque anni fa, questa volta ci sono anche i Verdi che vorrebbero entrare in maggioranza. Un’ipotesi caldeggiata dai socialisti ma non da una larga fetta del Ppe. “Non possiamo fare concessioni ai Verdi, perché abbiamo bisogno di una politica europea nella lotta contro il cambiamento climatico che non sia una politica fondamentalista, ma che sia una politica pragmatica”, rimarca Tajani. Il titolare della Farnesina auspica per l’Italia “un vicepresidente e un portafoglio di grande importanza”. Né i socialisti di S&D, né i liberali di Renew Europe vogliono però negoziare con il partito di Giorgia Meloni.

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