Sudan, Congo, Myanmar, Palestina: le Nazioni Unite fotografano un Pianeta in movimento, per le guerre e per i cambiamenti climatici. Ma l'Occidente non fa ancora abbastanza
Fuggono per il clima o per le guerre. Più spesso, per il clima e le guerre insieme. Ma lungi dal riversarsi in massa nel ricco ‘Occidente’, anche se sono sempre di più, quasi sempre sfollano all’interno del proprio Paese o nei Paesi vicini, anch’essi a basso o medio reddito. E quando possono, se possono, tornano a casa, che è ciò che desiderano di più. È la fotografia fatta da Global Trends 2024, ultimo rapporto dell’Unhcr, Agenzia Onu per i Rifugiati.
Numeri raddoppiati in dieci anni
Ad oggi, sfollati e rifugiati sono 120 milioni, 8,8 in più della fine del 2022, con un aumento dell’8%. 1 persona su 69, l’1,5% dell’intera popolazione mondiale, è sfollato con la forza, sia all’interno del proprio paese che fuori. Il doppio rispetto a dieci anni fa, quando era una persona su 125. “Per avere un’idea, pensiamo che gli sfollati equivalgano al doppio dell’Italia. E che si tratta del dodicesimo Paese al mondo come popolazione”, spiega Filippo Ungaro, portavoce Unhcr Italia.
I Paesi in cui si assiste a una escalation di sfollamenti sono quelli dove sono in corso aspri conflitti: il Sudan, con la guerra civile scoppiata nell’aprile del 2023 e circa 10 milioni di persone sfuggite, una parte fuori dal Paese, verso Sud Sudan, Ciad, Uganda, e la maggioranza all’interno in cerca di salvezza dai combattimenti. Altri conflitti sono quello della Repubblica Democratica del Congo, il Myanmar, dove, dopo la presa del potere militare nel febbraio 2021, 1,3 milioni di persone sono sfollate all’interno del Paese. E naturalmente nello Stato di Palestina l’Unrwa si stima che tra ottobre e dicembre 2023 il 75% della popolazione, 1,7 milioni di persone, siano state sfollate a causa del conflitto.
Nessun “assalto” all’Occidente
A differenza di quanto una certa vulgata mediatica racconta, la maggior parte dei rifugiati e degli sfollati resta vicino al proprio Paese di origine, con il 69% ospitato nei territori vicini alla fine del 2023. I Paesi a basso e medio reddito continuano a ospitare la maggior parte dei rifugiati del mondo. Buona parte delle persone costrette a fuggire non attraversa un confine internazionale, ma rimane sfollata all’interno del proprio Paese (rappresentano il 58% di tutti gli sfollati forzati e sono 68,3 milioni, + 10% rispetto al 2022).
“Una vera condivisione delle responsabilità non c’è – continua Ungaro – e, fatte poche eccezioni come la Germania, possiamo affermare che il numero delle persone accolte dai Paesi occidentali è ancora molto basso rispetto a quello di nazioni già fragili, che hanno già vulnerabilità rispetto ai propri cittadini e che nonostante questo sono molto generose. Costoro dovrebbero essere aiutati di più”.
La crisi climatica causa sfollamento ma anche conflitto
Aumentano i conflitti, le vittime e ovviamente anche le richieste di asilo, spiega il rapporto. I rifugiati – termine che viene impropriamente utilizzato per definire le persone che scappano, ma che in realtà corrisponde a uno status giuridico preciso che si ottiene facendo domanda di asilo – sono aumentati del 7%, arrivando a 43,4 milioni di persone, un numero triplicato rispetto a un decennio fa.
Anche il cambiamento climatico sta esacerbando le esigenze di protezione e i rischi per le persone sfollate, contribuendo a nuovi sfollamenti prolungati. Gli eventi estremi, infatti, spesso hanno un impatto pesante sui Paesi che già vivono conflitti. “Anche se non si ottiene lo status di rifugiato per la crisi climatica, gli effetti della crisi si mischiano a quelli dei conflitti e la crisi diventa una sorta di concausa dello sfollamento delle persone, come in Sudan. Al tempo stesso, la stessa crisi climatica diventa motivo di conflitto”, nota il portavoce.
Corridoi umanitari e integrazione, soluzione migliore per tutti
Ma quanti rifugiati riescono a tornare a casa? Nel 2023, quasi 1,1 milioni di sfollati provenienti da 39 Paesi hanno deciso di tornare a casa, in particolare ucraini o sud sudanesi ma, secondo il rapporto, non è chiaro se si tratta di rientri sostenibili. Sempre nel 2023, 5,1 milioni di persone sfollate all’interno del proprio Paese sono tornate al loro luogo di origine, in particolare nella Repubblica Democratica del Congo e in Ucraina. 158.700 rifugiati sono stati reinsediati in Paesi terzi, 35% in più rispetto all’anno precedente, solo l’8% dei circa 2 milioni di persone che avrebbero bisogno di reinsediamento. Solo 30.800 persone hanno acquisito una nuova cittadinanza.
“Bisognerebbe andare alla radice dei problemi: se non si rispetta il diritto internazionale, non si persegue una cultura di pace e non si favorisce lo sviluppo di coloro che hanno difficoltà e ospitano il maggior numero di rifugiati, è arduo risolvere e gestire il fenomeno migratorio. Un approccio emergenziale o securitario non serve”, denuncia Ungaro, “e più che accordi bilaterali, servirebbero soluzioni multilaterali e cooperazione internazionale. A causa delle situazioni cronicizzate ci sono persone che restano nei campi profughi per anni, bambini che ci crescono dentro”.
Oltre all’aspetto etico e morale dell’aiuto, un dato significativo è che noi occidentali siamo in forte denatalità, abbiamo bisogno di forza lavoro e quindi accoglierli e integrarli sarebbe una soluzione cosiddetta “win win”, utile per tutti. Esistono per fortuna alcune buone pratiche: corridoi umanitari, universitari, evacuazioni, canali sicuri e regolari, a cui dovrebbe seguire l’integrazione. “Cito”, conclude il portavoce, “il nostro ‘Programma Welcome’ che ha messo in contatto i rifugiati con ben 700 aziende, creando 30.000 percorsi di inserimento lavorativo. Ma si può fare anche formazione in loco, prima che arrivino qui. Strade virtuose insomma ci sono, vanno sostenute e rafforzate”.