Dopo la caduta del Muro di Berlino e la scomparsa dell’Unione sovietica, molti avevano pensato che fossimo giunti alla “fine della storia”, che le grandi contrapposizioni fossero ormai finite e la democrazia non avesse più rivali.

Il XXI secolo si è invece presentato in modo ben diverso: non solo regimi autoritari, come Cina e Russia, sono rapidamente diventati protagonisti della scena internazionale, ma movimenti populisti di destra hanno scosso alle fondamenta i governi democratici. Solo negli ultimi anni lo abbiamo visto accadere negli Stati Uniti, con l’assalto dei seguaci di Trump a Capitol Hill; in Brasile, con le forzature di Bolsonaro; nell’Unione europea, con l’affermazione in Ungheria e, fino a pochi mesi fa, in Polonia delle “democrazie non liberali”.

È d’altronde nella natura stessa di questi populismi entrare in attrito con le procedure garantiste della democrazia, perché presentano alcuni evidenti nessi con le esperienze autoritarie, a partire dalla demonizzazione degli avversari, spesso considerati alla stregua di nemici del popolo. I populisti affermano tuttavia di accettare il verdetto elettorale, e quindi il gioco democratico. Ma, come abbiamo visto, il linguaggio bellicista che li caratterizza e la visione unanimistica che li anima, li può facilmente spingere nella direzione opposta.

Nelle ultime settimane, sembra che anche in Italia si stia producendo una dinamica simile. Sulle prime pagine di giornali e Tg hanno trovato spazio gli insulti a chi ha semplicemente ricordato che la nostra Costituzione è antifascista, o le minacce e le aggressioni fisiche – per ora fortunatamente senza gravi conseguenze – contro esponenti delle opposizioni in Parlamento e nei Consigli comunali.

È poi tornato a fare capolino il generale Vannacci, un uomo che si richiama spesso al peso della storia, senza però conoscerla. L’ufficiale non si nutre infatti di storia, ma di miti, tanto è vero che parla sempre al singolare, mai al plurale, dando definizioni lapidarie e univoche di cos’è normale, buono, italiano, e di cosa non lo è. La storia, invece, è necessariamente complessa, plurale. Così come la democrazia, l’unico regime politico che si è finora rivelato capace di accogliere in sé tutta la ricchezza umana che il mondo presenta.

Secondo l’ufficiale, l’omosessualità non è “normale”, e perché? Perché non sa che in alcuni periodi storici, compreso quello classico che tanto esalta, era pienamente accettata. Dice che la pallavolista della nazionale Paola Egonu ha tratti somatici che non rappresentano l’italianità? Dimentica però che l’idea di italianità è sorta tra Risorgimento e nascita dello Stato unitario, ed è quindi cosa recente, non millenaria. Peraltro, gli si dovrebbe ricordare che l’Italia di oggi, con le sue tante etnie, culture, religioni, lingue che vivono una accanto all’altra, assomiglia molto più a quella di duemila anni fa, ai tempi dell’Impero romano, piuttosto che al Paese di trenta o quaranta anni fa in cui lui è cresciuto. Per non dire poi dell’invito a mettere accanto al suo nome sulla scheda elettorale il simbolo della X Mas, i cui reparti che combatterono per la Repubblica di Salò si macchiarono di orribili crimini. O la decisione di chiamare “camerati” i suoi compagni di partito.

L’obiettivo di Vannacci e di chi lo segue è immaginare il futuro prendendo a modello un passato idealizzato, mai esistito, ma immaginato come privo di sfumature, di contraddizioni, come un mondo prevedibile e quindi rassicurante. Questa sindrome si ripresenta ogni volta che i cambiamenti diventano molto rapidi e l’incertezza del futuro spinge a cercare qualcosa di solido a cui aggrapparsi. In questi casi, l’appiglio più sicuro diventa la tutela da parte della propria comunità, la cui solidarietà interna viene resa assoluta, immaginata cioè come univoca e unitaria, contro tutto ciò che è percepito come “straniero”.

Oggi una piccola minoranza dotata di sufficiente spregiudicatezza sta dunque provando a polarizzare il clima politico per far parlare di sé a ogni costo, non consapevole di scherzare con il fuoco. Che si accusi una parte della classe politica di non rappresentare le esigenze del Paese, è tutto sommato il sale stesso della democrazia, perché porta all’alternanza al governo tra maggioranza e opposizione. Ma che venga messa in discussione la legittimità del sistema democratico, che il confronto razionale e civile tra opinioni diverse venga sostituito dalla legittimazione dello scontro violento, dal “diritto all’odio”, vuol dire avviarsi lungo una china molto pericolosa. Se la pluralità di pensieri e di comportamenti è la ragione stessa, la bellezza e la forza della democrazia, l’unanimità imposta con la forza è un piano inclinato di cui è impossibile vedere la fine.

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