L’immunità è dovuta per consuetudine. È per questo, si legge nelle motivazioni appena pubblicate, che la giudice per l’udienza preliminare, Marisa Mosetti, il 13 febbraio ha ordinando il non luogo a procedere per difetto di giurisdizione nei confronti di Rocco Leone e Mansour Rwagaza, i due funzionari del Programma alimentare mondiale (Pam) allora accusati di omicidio colposo e omesse cautele nel procedimento per l’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere scelto Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo nella Repubblica Democratica del Congo.
La Gup ha depositato le motivazioni che ruotano attorno a due pilastri: da un lato i Trattati costitutivi delle Nazioni Unite e delle sue Agenzie, che regolamentano la materia, e dall’altro il diritto consuetudinario. Da quanto si legge, la posizione sostenuta dall’accusa che riteneva inapplicabile l’immunità nei confronti dei due funzionari non teneva conto della prassi diplomatica consolidata. Va ricordato che tutto si era giocato attorno a un cavillo apparentemente tecnico: le agenzie Onu dovrebbero fornire ogni anno agli Stati che le ospitano l’elenco dei funzionari in carica coperti da immunità. Elenchi che nel caso specifico di Leone e Rwagaza non erano nemmeno stati presentati: l’ultimo depositato prima dell’uccisione di Attanasio e Iacovacci risaliva al 2017 e non riportava i nomi dei due funzionari finiti sotto inchiesta. Secondo il procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, ciò li escludeva dall’immunità. Secondo la Gup Mosetti, invece, in base ai Trattati, alla giurisprudenza e alla consuetudine diplomatica, l’immunità funzionale si applica a tutti i funzionari delle Nazioni Unite dotati di contratto, sia a tempo indeterminato che determinato, escluso solamente il personale locale assunto a ore. Per tutti gli altri, qualunque sia il tipo di rapporto di lavoro che li lega alle Nazioni Unite, la copertura data dall’immunità funzionale non è in discussione.
Come si evince dalle pagine delle motivazioni, a contribuire a queste conclusioni è stato determinante anche il parere espresso dai due funzionari della Farnesina convocati in udienza: Stefano Zanini, capo del servizio giuridico del Ministero degli Esteri, e Valentina Savastano, del cerimoniale diplomatico (con pregressa esperienza lavorativa all’interno della Fao), “hanno riferito come (…) le immunità previste (…) si applicano a tutti i membri dello Staff delle Nazioni Unite (…) e a tutti i funzionari della FAO”. Scrive infatti la giudice che “tale conclusione teorica è avallata dalla prassi riferita dai funzionari del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale”. Funzionari che “hanno anche depositato un documento riassuntivo degli elementi riferiti, con allegate le fonti ritenute rilevanti”: se ne deduce dunque che la posizione assunta dai rappresentanti della Farnesina sia stata centrale nell’individuazione della documentazione e nel conseguente riconoscimento dell’immunità per Leone e Rwagaza.
Secondaria, a questo punto, diventa l’altra questione sollevata dagli avvocati difensori del funzionario congolese, che eccepivano anche la nullità della richiesta di rinvio a giudizio non essendo stato notificato l’avviso di conclusione indagini al loro assistito. Qui la Gup ha avuto gioco facile nel respingere la questione, poiché – a differenza di casi simili – Rwagaza era a conoscenza del procedimento, tanto da aver nominato due legali che lo rappresentavano a processo.
La giudice riconosce dunque la sussistenza dell’immunità per i due imputati, sottolineando un elemento chiave: l’unica via possibile per proseguire il processo sarebbe la rinuncia all’immunità dei propri funzionari da parte delle Organizzazioni internazionali competenti. Ma – chiosa Mosetti – “non risulta che lo Stato italiano – unico soggetto legittimato a interloquire sul tema con l’Organizzazione – abbia richiesto al PAM e all’ONU di rinunciare all’immunità per i propri funzionari”.