Il 24 maggio la Conferenza episcopale italiana era stata molto chiara: “L’autonomia differenziata rischia di minare il principio di solidarietà”. Ora, dopo l’approvazione della legge, il presidente dei vescovi, Matteo Zuppi, non cambia di una virgola la sua posizione: “Abbiamo fatto un documento ufficiale, quello che dovevamo dire lo abbiamo detto, si vede che non ci hanno preso sul serio, che dobbiamo fare?”. Una posizione netta, dura, una bocciatura totale della riforma voluta dal governo e non ben vista dai vescovi, come quella sul premierato: “Ho risposto io con una raccomandazione per tutti e la ribadirei – ha detto Zuppi – Se vogliamo che durino (le riforme ndr) devono avere un coinvolgimento di tutti, cerchiamo di fare tutti quanti il possibile perché sia così”. Parole, quelle del presidente della Cei, pronunciate a margine di un convegno con esponenti del governo.
Ma cosa aveva detto la Cei in tema di autonomia differenziata? Il 24 maggio la Conferenza episcopale italiana aveva diffuso una nota approvata dal Consiglio Episcopale Permanente il 22 maggio nel corso dei lavori della 79ª Assemblea Generale: in pratica la Cei aveva raccolto e fatto proprie le preoccupazioni emerse dall’Episcopato italiano. Da qui la critica al progetto che nel frattempo è diventato legge: “Il Paese non crescerà se non insieme” era l’incipit del testo, che poi continuava con dure critiche all’esecutivo. “Il progetto di legge con cui vengono precisate le condizioni per l’attivazione dell’autonomia differenziata rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni, che è presidio al principio di unità della Repubblica” si leggeva nella nota, in cui i vescovi esprimevano preoccupazione per “qualsiasi tentativo di accentuare gli squilibri già esistenti tra territori, tra aree metropolitane e interne, tra centri e periferie”. La Cei aveva sottolineato anche il rischio di vedere un aumento delle disuguaglianze nel settore della sanità: “Tale rischio – era scritto nel comunicato – non può essere sottovalutato, in particolare alla luce delle disuguaglianze già esistenti, specialmente nel campo della tutela della salute, cui è dedicata larga parte delle risorse spettanti alle Regioni e che suscita apprensione in quanto inadeguato alle attese dei cittadini sia per i tempi sia per le modalità di erogazione dei servizi”. Per la Conferenza episcopale italiana “gli sviluppi del sistema delle autonomie – la cui costruzione con Luigi Sturzo, nel secolo scorso, è stata uno dei principali contributi dei cattolici alla vita del Paese – non possono non tener conto dell’effettiva definizione dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale”.
I vescovi per questo motivo chiedevano alla politica una sorta di accordo, lanciando “un appello alle Istituzioni politiche affinché venga siglato un ‘patto sociale e culturale’, perché si incrementino meccanismi di sviluppo, controllo e giustizia sociale per tutti e per ciascuno”. “Il Paese non crescerà se non insieme”, sottolineava la Cei rilanciando una affermazione contenuta in molti documenti degli anni scorsi. “Questa convinzione ha accompagnato, nel corso dei decenni, il dovere e la volontà della Chiesa di essere presente e solidale in ogni parte d’Italia, per promuovere un autentico sviluppo di tutto il Paese. È un fondamentale principio di unità e corresponsabilità, che invita a ritrovare il senso autentico dello Stato, della casa comune, di un progetto condiviso per il futuro”, si leggeva nella nota dei vescovi. La Cei citava infine Papa Francesco che nella Fratelli tutti sottolineava: “La fraternità universale e l’amicizia sociale all’interno di ogni società sono due poli inseparabili e coessenziali. Separarli conduce a una deformazione e a una polarizzazione dannosa”.