Politica

Europee, pochi voti al M5S? Poco distintivo e troppo moderato. Soprattutto in tema Ue

Perché il Movimento 5 Stelle ha avuto così pochi voti alle elezioni europee? Il motivo principale a mio parere è che il suo programma è poco distintivo e troppo moderato. I 5 Stelle di Giuseppe Conte non si distinguono più nettamente da una forza riformista e tradizionale come il Pd di Elly Schlein. Molti analisti hanno scritto che le cause della (peraltro non catastrofica) sconfitta alle elezioni europee riguardano l’organizzazione interna e elettorale del movimento: i due mandati sono insufficienti per formare un personale politico riconoscibile e competente; il movimento non è radicato a livello locale; i candidati al Parlamento non possono essere votati solo on line; Conte non si è presentato come capolista, ecc. Tutti motivi validi.

Ma a mio parere ce n’è un altro ancora più consistente. I 5 Stelle sono molto meno originali – e anche assai meno radicali – di prima e il loro programma non accende più gli animi, non prefigura una svolta e non offre nuove prospettive e speranze. Prima, quando erano arrivati al 30% e oltre, erano il partito anti-establishment, il partito del reddito di cittadinanza, della democrazia diretta, il partito contro l’Unione Europea dell’austerità, dell’euro, delle tecnocrazie che comandano l’Italia da Bruxelles e Francoforte, il partito del cambiamento. Ora sembra che si distinguano per essere solo il partito del salario minimo garantito (obiettivo condiviso con il Pd) e della pace. La pace in Ucraina e in Medio Oriente è ovviamente una questione fondamentale che il Movimento giustamente persegue. Bisogna assolutamente bloccare l’escalation bellicista e arrivare al negoziato tra Russia e Ucraina.

Tuttavia un programma politico e elettorale non può basarsi solo sulla pace senza neppure specificare bene come arrivarci. Sull’Europa, questione ovviamente centrale nella competizione per le elezioni al Parlamento Ue, i 5 Stelle non hanno detto cose distinguibili dai buoni propositi riformisti delle altre forze politiche progressiste. La critica radicale dei 5 Stelle all’Unione Europea è sostanzialmente cessata proprio mentre la Ue è in piena crisi: l’economia europea, a partire da quella tedesca, è ormai ferma e la politica estera europea non si distingue da quella bellicista della Nato. Nella Ue sta bene solo la grande finanza. La proposta dei 5 Stelle è però di continuare a avanzare nell’integrazione europea.

Ma questo è illusorio e sbagliato. Il Trattato di Maastricht, fondato sulla più estrema ideologia liberista, sulla deregolamentazione del mercato dei capitali e del lavoro, sul rifiuto dell’intervento pubblico nell’economia, non permette alcuna possibilità di riformare il regime europeo. Non si può ignorare che – a parte il Parlamento Ue che però conta poco o nulla – le istituzioni che comandano davvero nella Ue – il Consiglio Europeo, la Commissione e la Bce – non sono democratiche, non sono elette e non rispondono ai popoli europei. I paradisi fiscali della Ue (Lussemburgo, Olanda, Irlanda, Cipro, Malta) non consentono nessuna possibilità di fare delle vere riforme fiscali in Europa.

Gli Stati Uniti d’Europa tra una trentina di paesi differenti sono una pia illusione. La Ue ha imposto il pareggio di bilancio addirittura in Costituzione, ovvero ha sancito formalmente l’impossibilità degli Stati di fare degli investimenti pubblici a favore delle presenti e future generazioni. L’Italia ha un debito pubblico insostenibile. Ma nel programma dei 5 Stelle non c’è la cancellazione del debito pubblico europeo in pancia alla Bce, che pure il compianto David Sassoli, che non era un rivoluzionario, aveva proposto.

Senza la cancellazione dei debiti pubblici da parte della Bce non ci può essere spazio fiscale per delle riforme sostanziali dell’economia e della società europea. Questa Ue non può andare avanti così. I 5 Stelle dovrebbero fare una dura opposizione e proporre di stracciare Maastricht, tornare alle democrazie nazionali e formare una Confederazione Europea con un bilancio in comune e una moneta comune e non unica, come il bancor di Keynes.

Ma il vero problema è che il movimento di Conte è carente e poco distinguibile anche per quanto riguarda il programma interno all’Italia. Conte propone giustamente insieme al Pd un salario minimo garantito: ma questo riguarda circa 4 milioni di lavoratori poveri, mentre l’inflazione colpisce invece tutti i 24 milioni di lavoratori italiani. Sarebbe quindi necessario che i 5 Stelle e i sindacati chiedessero con forza un sistema di indicizzazione dei salari che porti al recupero automatico del continuo aumento dei prezzi. Questa richiesta godrebbe del consenso della maggioranza degli italiani.

Un altro progetto fondamentale potrebbe essere quello di costituire un’Agenzia per i lavori pubblici per garantire il lavoro a milioni di lavoratori italiani e immigrati con un salario minimo di sopravvivenza. Il grande presidente americano Franklin D. Roosevelt durante il New Deal tolse dalla disoccupazione milioni di americani disperati grazie al Work Projects Administration: una cosa del genere potrebbe e dovrebbe fare lo Stato italiano, soprattutto per occupare decine e centinaia di migliaia di immigrati che potrebbero contribuire alla manutenzione del nostro territorio, alla transizione energetica e al progresso civile. Gli immigrati sarebbero ben visti dagli italiani se fossero nelle condizioni di potere lavorare e mantenersi fin dal loro ingresso in Italia.

Bisognerebbe costituire anche una banca pubblica che finanzi le infrastrutture indispensabili per lo sviluppo e garantisca il debito pubblico. Infine i 5 Stelle potrebbero proporre la democrazia economica come c’è già in Germania. Là nelle grandi aziende i lavoratori e i sindacati partecipano ai Consigli di Amministrazione e contano al 50% nelle decisioni aziendali. In questa maniera la Germania ha raggiunto il primato industriale. Conte dovrebbe fare delle proposte nuove e riconoscibili per fare uscire l’Italia dalla drammatica crisi in cui si è cacciata.